Riprendiamo dal RESTO del CARLINO a pag. 18 con il titolo 'Il Meis ricordi il genocidio armeno' il commento di Vittorio Robiati Bendaud.
Vittorio Robiati Bendaud
Armeni in fuga dal genocidio
Ferrara è divenuta con il MEIS uno scrigno della memoria: la memoria millenaria, complessa, dinamica e plurale dell’ebraismo italiano, con i suoi splendori e la sua ricchissima tradizione spirituale, letteraria, musicale e culturale, e la memoria della Shoah. Accostarsi alla Shoah significa eminentemente ragionare sull’antisemitismo, nelle sue più svariate e subdole declinazioni -antiche, recenti e contemporanee-, come pure su fascismo e nazismo e sulla loro capacità di sovvertire e deturpare la vita democratica, distruggendo l’altissima dignità della singola persona umana. La Shoah fu, come è noto, un genocidio. Sarebbe bello, nell’opera di memoria attiva e consapevole che il MEIS si prefigge, che venisse spiegata l’origine della parola “genocidio” e la sua storia. Si tratta di una parola nuova per un crimine nuovo -anche se inquietantemente anticipato nel biblico libro di Ester-: la volontà di sterminare un intero popolo, cancellandone passato, presente e futuro, con una pulizia capillare ed efficace che lo elimini una volta per tutte, colpevole, prima ancora di azioni, attitudini o prospettive, di esistere. Questo lemma fu coniato decenni fa da Raphael Lemkin, un insigne giurista ebreo polacco, esule negli Stati Uniti, che sopravvisse alla sua famiglia annientata dalla Shoah. Tuttavia, Lemkin, nel coniare questa parola, oggi purtroppo sovente impiegata a sproposito o con imprecisione, affermò di aver in primo luogo meditato sulla lezione devastante offerta dal Genocidio Armeno, e solo successivamente sulla Shoah. C’è di più. Nel ricostruire la storia delle principali comunità ebraiche italiane -tra cui Venezia, Livorno e Ancona, come pure in epoca medievale la Puglia- non si può dimenticare che, in quegli stessi luoghi, vi furono prospere comunità armene, anch’esse rivolte verso Oriente, verso la Sublime Porta e verso la Terra di Israele (ricordo, per inciso, che uno dei quattro quartieri storici della Città Vecchia di Gerusalemme, addossato al quartiere ebraico, è proprio il quartiere armeno), in una tensione tanto commerciale che ideale. E, ancora, nel ricostruire la storia della Shoah non si può prescindere, pena rinunciare a una più profonda e completa comprensione della stessa, dal Genocidio Armeno, perpetrato dai Giovani Turchi e dai loro sgherri e sodali, con l’ampia complicità e corresponsabilità tedesca della Germania del II Reich. Si pensi che i giornali e l’accademia tedesca in larga misura presentarono gli armeni come “ebrei di Oriente”, degli “uberjuden” -dei “superebrei”-, nocivi per i poveri turchi più che gli ebrei mitteleuropei per i tedeschi di inizio Novecento, nonostante gli armeni fossero (e siano) cristiani. Non solo: la Germania di Bismark prima, di Guglielmo II successivamente e di Hitler (assieme all’Italia di Mussolini) avviò quel perverso percorso di Islampolitik che ulteriormente contribuì ad animare il fondamentalismo islamico, che tanto è responsabile del dilagare odierno, in vario modo, dell’antisemitismo islamico contemporaneo, come pure delle violenze verso i cristiani d’oriente (assiri e copti anzitutto). Di quel processo di Islampolitik furono vittime, considerate sacrificabili dai tedeschi, gli armeni dell’Impero Ottomano e, poi, all’epoca della nascita dei Fratelli Musulmani (1928), gli ebrei, ovviamente, con l’intesa tra Hitler, Mussolini, l’orrendo Muftì di Gerusalemme e Hasan al-Banna. Ma, ancora, entrambi i genocidi furono accompagnati da negazionismo intra-genocidario e post-genocidario; da “deportazioni a est” e “soluzioni finali”; da misurazioni ‘scientifiche’ dei crani e altri inquietanti e dolorosi studi sui corpi e sulla resistenza fisica delle vittime. Non fu un caso, insomma, che Hitler, come viene spesso ricordato, abbia detto che si potevano eliminare gli ebrei, senza troppi problemi, perché tanto nessuno si ricordava ormai degli armeni. Questi sono soltanto pochi dei molti rimandi che illuminano questi due Genocidi, più collegati l’uno all’altro di quanto generalmente si creda. Mi rivolgo alle persone di buona volontà, al Sindaco di Ferrara, come agli accademici della locale insigne università, come pure agli amici del MEIS perché, proprio per combattere l’oblio e l’indifferenza, questa preziosa nuova istituzione nazionale si faccia interprete e promotrice nel nostro Paese della memoria e dello studio del Metz Yeghern, del Genocidio Armeno: ne aumenterà in prestigio e credibilità, si affinerà meglio il ricordo della Shoah e si farà un’opera ulteriore e necessaria di verità e giustizia.
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