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La Stampa Rassegna Stampa
27.04.2020 Morto Giulietto Chiesa, ma sulla Stampa un articolo di lode che 'dimentica' il complottismo del defunto
Firmato da Cesare Martinetti in stile Unità

Testata: La Stampa
Data: 27 aprile 2020
Pagina: 21
Autore: Cesare Martinetti
Titolo: «Addio Giulietto Chiesa, appassionato di Russia. Raccontò la fine della perestrojka e dell'Urss»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/04/2020, a pag. 21, con il titolo "Addio Giulietto Chiesa, appassionato di Russia. Raccontò la fine della perestrojka e dell'Urss", il commento di Cesare Martinetti.

Non è forse elegante criticare i morti, è doveroso invece criticare i vivi che li elogiano a sproposito. Il ritratto che Martinetti fa di Giulietto Chiesa è edulcorato e quasi tace - tranne pochi rapidi cenni nel finale del pezzo - il cospirativismo e complottismo del compianto. Ricordiamo il complottismo di Chiesa in più occasioni, e in particolare a proposito dell'11 settembre, secondo il defunto gli autori della strage alle Torri gemelle erano Cia e Mossad. Martinetti invece di ristabilire la verità preferisce il ritratto elegiaco, lodando Chiesa per essere stato contro Elstin. Il suo è un articolo in pieno stile Unità.

Ecco l'articolo: 

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Cesare Martinetti

Morto Giulietto Chiesa. Vauro:
Giulietto Chiesa

Nel centro stampa del ministero degli Esteri, in Zubovsky bul'var, al capo dei golpisti, Ghennadi Janaev, tremavano le mani per l'emozione e forse per la non segreta abitudine alcolica. Era il 19 agosto 1991. Ai giornalisti di tutto il mondo aveva appena detto che il presidente Gorbaciov, confinato nella dacia presidenziale sul Mar Nero, aveva problemi di salute. Fu allora che Giulietto Chiesa fece la domanda più inaspettata: «E lei come si sente?». L'imbarazzo di Janaev era palpabile, il suo tremore aumentò. Tre giorni dopo quel golpe era fallito. Michail Gorbaciov tornava a Mosca, i capelli arruffati, un giubbottino sbiadito sulle spalle, non più il potentissimo capo di una potenza mondiale ma un uomo tradito. E fu lui stesso, nel primo incontro con i giornalisti, a dare subito la parola a Giulietto: «Lei ha fatto una bellissima domanda…». Quell'episodio segna aneddoticamente un prima e un dopo nell'avventura giornalistica di Giulietto Chiesa, scomparso ieri per infarto nella sua casa di Roma. Aveva 79 anni. Era nato ad Acqui Terme, ma era cresciuto a Genova. Militante comunista, dirigente nazionale della Federazione giovanile, alla fine degli anni 70 era passato all'Unità. Nel 1980 fu mandato a Mosca come corrispondente e fu la svolta nella sua vita. Apparteneva alla generazione maturata nel Pci eurocomunista, quella segnata da Berlinguer e dall'«esaurimento della spinta propulsiva della Rivoluzione d'ottobre». Con questo spirito ha interpretato il suo ruolo, raccontando la decadenza di un sistema e la lotta dentro un partito. Per questo fu il primo corrispondente italiano dell'Unità attaccato dalla Tass. Ne andava orgoglioso. Era diventato un punto di riferimento per dissidenti, come lo storico Roy Medvedev o l'italianista Cecilia Kin. Nel 1990 passò a La Stampa, allora guidata dal tandem Paolo Mieli-Ezio Mauro. Chiesa era il sovietologo più accreditato e divenne un appassionato interprete dell'era Gorbaciov. Il suo quotidiano «Diario da Mosca» (poi raccolto in un volume da Baldini e Castoldi con il titolo Cronache del golpe rosso) è tuttora il documento vivo di quei giorni che hanno segnato il destino dell'Urss. Scriveva Giulietto il 14 settembre 1991: «Il golpe ha messo la parola fine sulla perestrojka». Il 26 dicembre la bandiera rossa veniva definitivamente abbassata dalla cupola del Cremlino. Dopo qualche mese passato negli Stati Uniti tra i sovietologi americani del Kennan Institute di Washington, Giulietto si è definitivamente installato nell'ufficio della Stampa sul Kutuzovskij prospekt di Mosca a 300 metri dal suo appartamento che intanto era diventato uno straordinario punto di incontro per disparati protagonisti dell'intellighenzia democratica. Egor Jakovlev, l'«architetto» del programma gorbacioviano, Viktor Loshak, direttore di Moskovskie Novosti, il settimanale più impegnato, l'economista riformatore Grigorij Javlinski, il sindaco di San Pietroburgo Anatolij Sobchak. Vi si incontravano spesso analisti e politologi americani di passaggio, come anche Vittorio Zucconi, altro ex di Mosca e il figlio musicista di Gramsci, Giuliano. Tra Giulietto e Gorbaciov si era intanto consolidata una consuetudine diventata negli anni un'amicizia. È stato lui a convincere l'ultimo leader sovietico a scrivere in esclusiva mondiale per La Stampa. Almeno una volta al mese passava un pomeriggio con Gorbaciov nella sede della sua Fondazione, sul Leningradskij prospekt, dove l'aveva sgarbatamente confinato il trionfante Boris Eltsin, presidente della «nuova» Russia. Da quelle conversazioni nascevano gli articoli che poi venivano ripubblicati sui principali giornali del mondo, dal New York Times a Le Monde, dove la «gorbymania» è stata ben più duratura e radicata che in Russia. Giulietto Chiesa insieme alla moglie Fiammetta Cucurnia, corrispondente di Repubblica, ha coltivato una passione viscerale per la Russia, il suo popolo, la sua lingua, la sua anima enigmatica, il dibattito politico di cui sapeva parlare per ore, instancabile e indomito, come sul campo da tennis o nelle partite a scacchi. Da inviato ha raccontato la fine della guerra sovietica in Afghanistan e l'inizio della guerra russa alla Cecenia. Alla fine degli anni 90 ha lasciato La Stampa, ed è iniziata una nuova vita. Ha fatto un passaggio da deputato al Parlamento europeo, eletto nella lista Di Pietro-Occhetto, ma la disillusione di una vita si era consumata in una parabola parallela a quella di Gorbaciov. Dopo aver passato vent'anni a studiare un sistema che viveva di segreti, ha trasferito la chiave cospirazionista in una posizione estremista anti-americana e anti-occidentale, arrivata fino alla grottesca negazione dell'11 settembre. Lo hanno accusato di volta in volta di essere agente della Cia, del Kgb e uomo al soldo di Putin. Ho lavorato con lui all'ufficio della Stampa di Mosca e credo che siano tutte sciocchezze: al di là della discutibilità delle opinioni, era un uomo percorso da una passione politica inesauribile ed estrema che non gli consentiva di dubitare mai di avere ragione.

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