Il comando supremo di Hitler – Geoffry P. Megargee – Ed. Goriziana
“Una vittoria finale della Germania è impossibile”. Il 31 ottobre del 1938, lasciando l’incarico di capo di stato maggiore dell’esercito tedesco, Ludwig Beck contemplava questo orizzonte: lo scardinamento degli equilibri europei perseguito da Hitler schiacciava la Germania su una posizione strategica che l’avrebbe perduta. La luttuosa profezia di Beck non era condivisa da molti nell’esercito del Reich, il pifferaio nazista aveva irretito larga parte dei suoi colleghi, convincendoli che il nuovo assalto al potere mondiale avrebbe avuto successo. La leggenda che dipinge un alto comando di professionisti della guerra, enclave di un’aristocrazia che rifiutava di mescolarsi alla volgarità barbarica nazista, trascinati in una guerra che non volevano, ma che per patriottismo e fedeltà al loro giuramento si piegarono ai disegno del despota, viene demolita dallo studio di Megargee. Il “blasone immacolato della Wehrmacht”, l’immagine retorica utilizzata per distinguere le responsabilità delle forze armate dalle efferatezze del regime, viene ulteriormente privata di legittimità storica. I militari contribuirono a schiudere le porte del potere assoluto a Hitler, ne condividevano gli obiettivi strategici e furono complici dei suoi disegni di conquista. Le alte sfere dell’esercito furono tutt’altro che un focolaio di resistenza ma attesero che gli esiti del putsch di Stauffenberg fossero chiari prima di prendere partito. Anche sul versante militare il mito si sgretola. Non furono soltanto le intromissioni e le ossessioni del dilettante Hitler a minare lo sforzo bellico tedesco, ma le lotte intestine tra i vertici dell’esercito e quelli della Wermacht, la duplicazione delle linee di comando, l’idea che il carattere e la forza di volontà fossero da sole capaci di dominare gli eventi, la sottovalutazione della forza degli avversari, Urss in testa, e la sopravvalutazione della propria, il disprezzo per il ruolo vitale dell’intelligence. La guerra nazista sprofondò lo stato maggiore in un’idea di obbedienza estranea allo stile di comando prussiano, su cui lo stato maggiore si era modellato.