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Il decreto di Trump sull’antisemitismo nei campus americani
Analisi di Antonio Donno
Donald Trump L’11 dicembre dello scorso anno Trump ha firmato un decreto tendente a colpire le forme di antisemitismo presenti nei campus americani. Se le autorità accademiche si rifiutassero o fossero negligenti nell’applicare tale decreto, incorrerebbero in penalizzazioni relative alla concessionedei fondi federali. Il problema è di vecchia data, essendo stato oggetto nel passato di vari interventi federali che tuttavia hanno incontrato una serie di obiezioni di natura formale e spesso puramente elusive del contenuto degli atti legislativi. La risposta di parte del mondo accademico e del movimento studentesco ha ricalcato la consueta replica: la critica alla politica dello Stato di Israele non è antisemitismo, ma rientra nella libertà di espressione garantita dalle leggi americane. Tuttavia, ripercorrendo la storia dell’antisionismo e dell’anti-israelismo nei campus universitari americani, almeno a partire dalla guerra del 1967, non si può eludere una constatazione che nasce non dalle dichiarazioni legate alla semplice lettura del decreto e dal puro scontro dialettico tra le parti, ma dall’analisi dei fatti concreti che si sono succeduti negli anni nelle più varie circostanze. Da tutto questo deriva un quadro assai diverso da quello proposto dai contestatori del decreto trumpiano, i quali ribadiscono che la critica a Israele e le stesse attività di BDS non possano essere ritenute una forma di antisemitismo.
Una manifestazione antisemita in un campus americano La realtà dei fatti è diversa e il decreto del presidente parte da questa constatazione. Il Title VI del 1964 sui diritti civili era stato varato per far fronte alla situazione, ma lasciava spazio alle libere interpretazioni di coloro, docenti e studenti, che intendessero utilizzare l’antisionismo per attaccare e isolare gli studenti ebrei presenti nei campus. Da ciò discendevano atteggiamenti e comportamenti sempre più aggressivi, che non riguardavano soltanto l’appartenenza religiosa, ma aspetti cruciali della storia ebraica e dell’esistenza stessa dello Stato di Israele. La negazione della Shoah, in molti segmenti del movimento, soprattutto quelli dominati dagli afro-americani, raggiunse punte velenose. Alla contestazione degli studenti ebrei si rispose con aggressioni fisiche, intimidazioni, vere persecuzioni nei vari ambienti dei campus, vandalismo, odio diffuso. A tutto ciò raramente le istituzioni accademiche risposero in modo adeguato alla grave situazione che si era creata, al fine di non incappare nella contro-contestazione che invocava la libertà di espressione del dissenso. La realtà era che quelle stesse istituzioni erano controllate da docenti ed amministratori che condividevano i fatti che accadevano nei campus e spesso ne erano, e ne sono, gli ispiratori. Il decreto di Trump, dunque, mette un punto fermo su una questione cruciale: la libertà d’espressione non può essere confusa, o meglio utilizzata, per operare discriminazioni e atti che rientrano pienamente nel campo dell’antisemitismo, della persecuzione antisemita. Il pericolo vero è che l’antisemitismo finisca per rientrare nell’ambito della libertà d’espressione, cosa che giustificherebbe, in modo insopportabile, secoli di persecuzione anti-ebraica (escluse le violenze fisiche) e, oggi, di atteggiamenti e comportamenti lesivi della libertà individuale e di un intero popolo. Come ha scritto Robert Wistrich con grande precisione, “se le posizioni più di sinistra o [cosiddette] progressiste adottano la retorica anti-sionista, vi affiancano anche atteggiamenti anti-semitici dai quali la gran parte dell’anti-sionismo è inseparabile”. Ciò che accaduto e continua ad accadere nei campus americani riflette precisamente ciò che ha scritto Wistrich: l’anti-sionismo è la copertura dell’antisemitismo, una vile mistificazione di un modo di pensare e di agire secolare, che di volta in volta ha assunto forme diverse. Il Partito Democratico, che nel 1948 ha sostenuto la nascita dello Stato di Israele, oggi conta tra le sue file gli esponenti più accaniti di questa mistificazione.
Antonio Donno |
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