Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/04/2020, a pag.1-27, con il titolo "Gilles Kepel: gli islamisti cavalcheranno le proteste per il disastro economico", l'intervista a Gilles Kepel di Francesca Paci.
Francesca Paci
Gilles Kepel
Nello spicchio di mondo che Gilles Kepel osserva, scendendo a fare la spesa per cucinare poi per la famiglia, c'è l'orizzonte parigino bloccato come ovunque dal Covid e c'è il futuro prossimo: quello in cui, dice il celebre islamologo francese, torneremo a preoccuparci del terrorismo di ieri. Con qualche differenza, perché, sia o meno la peste del nuovo Millennio, il virus ha terremotato anche la mezzaluna a Sud del Mediterraneo e l'Europa deve prepararsi alle scosse telluriche in arrivo.
Ci siamo barricati contro il terrorismo per scoprirci vulnerabili di fronte al nemico invisibile.
Quando ci sentiremo più sicuri rispetto al virus dovremo tornare a guardarci dagli attentati?
«Siamo ancora totalmente concentrati sul Covid ed è normale, anche se bisogna ammettere che, trattandosi di un fenomeno nuovo, non abbiamo reagito proprio razionalmente. All'inizio anche la minaccia jihadista era stata sottovalutata in Europa, si parlava d'islamizzazione della radicalità e di emarginazione dei giovani, finché i governi hanno realizzato che era vero il contrario e si sono rimboccati le maniche: abbiamo distrutto l'Isis con i bombardamenti e avviato una nuova politica nelle nostre carceri. La sfida contro il terrorismo è vinta. Per ora».
Teme l'agitazione sociale che accompagna, ad esempio, il lockdown in Tunisia e che potrebbe esplodere nella sponda Sud-Est del Mediterraneo dovunque la scelta sia tra morire di Covid oppure di fame?
«La congiuntura tra il virus e il crollo del prezzo del greggio investirà frontalmente l'Ue in generale e i Paesi affacciati sul Mediterraneo in particolare. Temo che il terrorismo rinasca dalle ceneri dei perdenti, anche in Europa. A conti fatti le classi medio-alte possono convivere con la quarantena, ma per le periferie del mondo, i sobborghi poveri, i migranti, per l'economia reale è una sciagura. A Tripoli, in Libano, si vive del guadagno quotidiano e non uscire significa non mangiare. Poi c'è il petrolio: da un lato la domanda cinese è crollata, dall'altro l'oro nero ha perso tre quarti del suo valore. A meno di 30 euro al barile, da 70 che erano a gennaio, i Paesi del Sud-Est del Mediterraneo non potranno più pagare sovvenzioni e stabilità sociale».
Pensa a nuove guerre?
«È possibile, chi uscirà più forte da questa situazione ne approfitterà. In Iran la situazione è pesantissima: ci sono le sanzioni americane, c'è una forte presenza economica cinese e ci sono le autorità sciite che, nonostante il pericolo del contagio, hanno deciso di non vietare i pellegrinaggi esponendo la popolazione al massimo del rischio. Dalla debolezza dell'Iran potrebbe arrivare un attacco violento da parte dei vicini, Teheran potrebbe rilanciare il terrorismo di Stato.
E la Siria? È una bomba a orologeria, con Putin che ha mandato respiratori alle zone sotto il controllo di Assad mentre quelle ribelli sono a zero. Ci sarà verosimilmente una nuova spinta di profughi verso la Turchia dove Erdogan, dopo aver purgato il partito, governa con la famiglia. La regione è pericolosissima».
Crede che, come temono alcune intelligence, il jihad possa servirsi del virus?
«Per i terroristi il Covid è interessante, qualcuno crede di potersene servire per contagiare l'Occidente, ma non mi pare un fenomeno rilevante al momento. La vera arma da temere a breve è il malcontento sociale, nel Golfo, in Medio Oriente, in Libia, in Algeria: il crollo del petrolio è un terremoto».
La prima cosa che faremo quando potremo uscire sarà indossare l'elmetto?
«Ci sono due segni interessanti in controtendenza. Da una parte la globalizzazione made in Cina è messa in discussione e, sebbene non si possa reimpiantare l'industria in Italia o in Francia, vedremo una rilocalizzazione nel Sud del Mediterraneo. Sta già accadendo. Mentre Pechino usava la produzione di mascherine per tenerci in ostaggio, alcuni Paesi come il Marocco si sono messi a produrre per esportare in Europa. È una grossa chance. Sull'altro fronte c'è la religione: i Paesi sunniti hanno vietato la preghiera del venerdì e il pellegrinaggio alla Mecca per paura del contagio, è la prima volta. Cosa ne sarà della legittimità dei chierici, ostili alla chiusura? Come manterranno il loro potere senza la moschea? La situazione è fluida».
Regolarizzare i migranti «alla portoghese», come ipotizza di fare l'Italia, può disinnescare il potenziale disagio sociale post-Covid?
«Dipende. La massima vocazione dei migranti è regolarizzarsi, insediarsi, lavorare. Il rischio del cavallo di Troia c'è, l'abbiamo visto con il jihad in Francia, Belgio e Germania: ma il problema non è economico, è politico».
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