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Diego Gabutti
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'Corriere dell’Est. Conversazioni con Edward Kanterian', di Norman Manea 21/04/2020
'Corriere dell’Est. Conversazioni con Edward Kanterian', di Norman Manea
Recensione di Diego Gabutti


Corriere dell'Est | Il Saggiatore
Norman Manea, Corriere dell’Est. Conversazioni con Edward Kanterian, il Saggiatore 2017, pp. 252, 24,00 euro.

Scrittore rumeno, deportato da bambino nei campi nazisti e vissuto nella Romania di Stalin e Ceausescu fino alla metà degli anni ottanta, quando è emigrato a New York, dove oggi vive e insegna, Norman Manea spiega che nella nostra epoca «la competizione per il ruolo di vittima è altrettanto accanita di quella per il successo, persino diventare celebri come vittime diviene un successo, una specie di conferma dell’“identità”». È una competizione che si spinge fino ad autoproclamarsi vittime delle vittime. È quello che fanno gli ayatollah iraniani e le bande jihadiste quando negano l’Olocausto e intanto ne augurano un altro agl’israeliani; ed è quel che fanno i leader palestinesi (e il loro principale alleato in Occidente, la sinistra caviar) quando definiscono «nazista» il governo israeliano e si danno arie (loro, al Fatah ed Hezbollah, il partito di dio) da fuoriclasse della democrazia. Ma la differenza tra le vittime vere e quelle false salta subito agli occhi: mentre le vittime vere fondano la loro condizione sull’evidenza, quelle false hanno bisogno di manipolare (e d’inventare) i dati storici. Delle vere vittime, come pure della miserabile ma terrificante natura dei loro aguzzini, Manea parla con la competenza di chi ha imparato questa triste scienza non sui libri o a tavolino ma da lezioni pratiche, nei gironi infernali dei conflitti razziali e di classe del Novecento europeo: il secolo e il continente infestati dagli spettri del comunismo e del nazionalismo fascista. Perseguitato in quanto ebreo, poi in quanto sospetto d’anticomunismo, Manea è sopravvissuto al secolo delle SS e della Guardia di Ferro rumena, dell’antisemitismo e della guerra ai kulaki, del realismo socialista, di Jean-Paul Sartre e dell’intellighenzia fascista rumena (a cominciare dallo storico delle religioni Mircea Eliade, di cui Manea parla qui diffusamente, come pure d’Emil Cioran e di Eugène Ionesco). Professore negli Stati Uniti, prima esiliato politico, poi esiliato e basta, Manea non si riconosce nell’Europa che, sorvolando sulla propria storia, e banalizzandone gli esiti, ha oggi la sfacciataggine di dare lezioni di democrazia all’Inghilterra e agli Stati Uniti (l’Europa dei primi decenni del Novecento, tra la belle époque e Auschwitz, impartiva loro lezioni d’«antidemocrazia», ed erano sostanzialmente le stesse lezioni illiberaliste che impartisce oggi: nomenklature carismatiche, economia statalizzata, «questione morale»). «Vi sono culture assassine, tradizioni culturali umane riprovevoli, che possono distruggere il mondo. C’è la stupefacente alleanza di parte della sinistra politica col fondamentalismo islamico, come forma di lotta al capitalismo e all’America», dice Manea parlando con Edward Kanterian, l’amico filosofo che lo intervista. Negli anni trenta dello scorso secolo, sempre con gli stessi obiettivi, ad allearsi col fondamentalismo islamico erano stati Hitler e Mussolini. Ieri i fascismi europei, oggi le sinistre europee. Manea aggiunge, per chiarire bene la questione: «I totalitarismi comunista, nazista e islamico hanno in comune il risentimento, fulcro di riflessione e azione. Esso ha motivazioni sociali per i comunisti, razziali per i nazisti, religiose per i fondamentalisti islamici o di altro genere». Siamo di fronte allo stesso fenomeno, come capisce bene chiunque non sia sotto incantesimo nazifascista, islamico o bolscevico. A negare l’identità dei moderni fenomeni totalitari sono le centrali totalitarie stesse, ma anche le ambigue istituzioni europee, che si proclamano contrarie all’islamofobia e all’anticomunismo viscerale (sono «antifasciste», in compenso, ma antifasciste come i fascisti erano antimassoni, antigiudei e antiplutocratici, cioè per fanatismo fondamentalista, senza crederci né esserlo davvero). Scrive ancora Manea: «Quando nel 1939 il vescovo di Southwark gli domandò quale fosse il futuro della religione, Carl Jung rispose: “Ancora non sappiamo se Adolf Hitler fonderà un nuovo islam. È già sulla buona strada; è come Maometto. L’emozione in Germania è islamica, bellicosa e islamica. Sono tutti ebbri di una divinità selvaggia. Questo potrebbe essere il futuro della storia”. Malraux, invece, scriveva nel 1956: “Sottovalutata dalla maggior parte dei nostri contemporanei, l’ascendenza dell’Islam è analogicamente paragonabile ai primordi del comunismo ai tempi di Lenin. Le conseguenze di tale fenomeno sono ancora imprevedibili… il mondo occidentale è troppo poco preparato ad affrontare il problema islamico… I fatti attualmente noti della questione ci inducono a ritenere che in tutto il mondo arabo si instaureranno a breve diverse forme di dittatura islamica”». Solo gli europei che ancora rimpiangono il Comintern e l’Uomo Forte non ci trovano niente di sinistro.

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Diego Gabutti

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