Il Covid-19 sta facendo cadere le barriere tra cittadini israeliani ebrei e cittadini israeliani arabi. Questa è l'osservazione sorprendente che emerge dalle prime settimane della pandemia. Per la prima volta, infatti, Israele è stato colpito da una calamità che non fa distinzione tra etnie e religioni. Un flagello che non rispetta i confini municipali e passa da una comunità all'altra, da un cliente all'altro del supermercato. Un flagello che può essere superato solo dalla mobilitazione di tutti. In prima linea in questa lotta ci sono ovviamente le professioni sanitarie. Professioni in cui la popolazione araba è ben rappresentata. In tutti gli ospedali, da Nord a Sud del Paese, medici e infermieri stanno combattendo spalla a spalla per salvare i malati provenienti da tutte le comunità d’Israele. Le donazioni di ricchi uomini d'affari arabi vengono utilizzate per acquistare attrezzature mediche d'avanguardia. Questa collaborazione spontanea non si limita al settore sanitario. Il dialogo tra i rappresentanti dello Stato e i rappresentanti eletti delle località arabe, di solito così teso, acquista flessibilità. È insieme che studiano le soluzioni e prendono decisioni in base all'evoluzione del contagio. I deputati arabi, abbandonati i loro discorsi estremisti, partecipano alle discussioni alla Knesset e attraverso canali televisivi e social network, si impegnano a trasmettere nelle loro comunità le raccomandazioni del Ministero della Sanità. E’ risaputo che la polizia israeliana non è benvenuta nelle località arabe; oggi però, dei poliziotti israeliani con altoparlanti girano per le strade trasmettendo in arabo norme e istruzioni di prevenzione, e sono ben accolti là dove ancora ieri venivano attaccati. Ma la cosa più sorprendente è che, nella città araba di Kfar Kassem, si organizzano collette e pacchi preparati dagli abitanti da distribuire ai loro vicini - ebrei - di Bnei Brak, gravemente colpiti dal virus. Il 6 aprile il sindaco della città, Adel Badir, ha voluto scrivere al sindaco di Beni Brak, dichiarando in particolare: “Gli abitanti di Kfar Kassem e io, in periodi come questo, sentiamo di condividere un destino comune.” Gli scettici diranno senza dubbio che si tratta di un fenomeno effimero che scomparirà con il virus. Non si rendono conto che la crisi ha fatto crollare decenni di sfiducia e di odio. E non vedono neppure che i leader arabi, forse rafforzati dai loro successi elettorali, sembrano finalmente pronti a dare la priorità all'interesse degli abitanti arabi di Israele, anche se continuano a sostenere la causa palestinese. In questi giorni si é notato che le organizzazioni islamiche, spesso accusate di contrabbandare aiuti ad Hamas a Gaza, dichiarano oggi che stanno dedicando tutti i loro sforzi per aiutare i propri concittadini in Israele. Uno dei loro leader lo ha ammesso quando è andato a consegnare centinaia di pacchi nella località costiera di Jisr as Zarka: “ Avevamo l’abitudine di aiutare i nostri fratelli a Gaza, ma oggi dedichiamo il 90% dei nostri doni ai nostri fratelli qui.”
Michelle Mazelscrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".