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Ruthie Blum, “Gente d’Israele” (208 pp., Lindau, 18 euro), Il libro di Ruthie Blum, intitolato “Gente d’Israele” (208 pp., Lindau, 18 euro), è un must per i lettori che desiderano approfondire la conoscenza di Israele, e al contempo, un piacere per chi è già pratico del paese. E’ una raccolta di 40 brevi racconti, con una prefazione di Fiamma Nirenstein, e fornisce al pubblico italiano originali osservazioni sulla vita quotidiana israeliana e una descrizione, che trascende gli stereotipi, del minuscolo paese del medio oriente. Blum, che si è trasferita in Israele nel 1977, è senior editor e columnist del Jerusalem Post nonché figlia del famoso neocon americano Norman Podhoretz. “Il volume è una raccolta di alcuni dei miei pezzi pubblicati sul Jerusalem Post per la rubrica ‘Flipside’ (il rovescio della medaglia, ndt)”, racconta al Foglio: “Una serie di istantanee su Israele e il suo popolo. La rubrica voleva mostrare il vero volto di Israele, quello che non ha nulla a che vedere con la politica. Il mio libro è in realtà dedicato alla cultura israeliana”. Ruthie Blum sottolinea con forza il rapporto tra cultura e vita quotidiana: “E’ la vita di tutti i giorni che ci guida. E questo non vale solo in Israele, ma ovunque: è vero in Iran, in Iraq, a New York e via dicendo. Se devi andare al supermercato a fare la spesa e preparare la cena per la tua famiglia, è questo il tuo pensiero principale. Le piccole cose che si fanno ogni giorno sono quelle che ci guidano, al punto tale che anche quando esplodono le bombe non ci si fa caso”. Continua la giornalista: “Posso assicurare che questo era verissimo all’epoca degli attentati suicidi in Israele. Per esempio, se ci si recava in un caffè e si ascoltavano le conversazioni delle persone, era molto poco probabile sentire parlare delle bombe, sebbene debba ammettere che i locali erano forse un po’ meno pieni, perché la gente era più restia a frequentare i luoghi pubblici. Quello che si poteva sentire era più o meno: ‘Sono stata a letto con un tipo ieri sera e mi chiedo se domani mi chiamerà…’, oppure ‘Devo andare a un matrimonio la settimana prossima e non so come vestirmi’, o ancora ‘Accidenti, stasera devo preparare la cena per i ragazzi e non ho proprio voglia di cucinare. Penso proprio che ordinerò un pizza’. Questo è il genere di conversazione che chiunque poteva ascoltare perché sono gli argomenti che hanno più presa sulle persone. Ciò non significa che la gente ignorasse quello che le accadeva intorno poiché senza dubbio ne era cosciente”. Ruthie Blum ha in mente una parte soprattutto una parte ben precisa di Israeele: “Fornisco descrizioni di persone che hanno idee liberali. Di solito, i miei scritti riguardano la parte laica e benestante di Israele, che raramente fa la sua comparsa sulla carta stampata. Chi vive in altri paesi pensa che in Israele tutti ballino la hora (danza folkloristica tradizionale israeliana, ndr) per strada o che le persone vadano in giro con il fucile in spalla. Poi quando arriva qui nota che in realtà nessuno balla la hora, che la gente mangia da McDonalds e parla esattamente degli stessi temi di cui si discute nel resto del mondo”. Da questa normalità, secondo la Blum può venire una lezione utile anche agli altri paesi: “Ciò che si può apprendere da questo piccolo Stato è che ovunque si vive, si crede che la zona di pericolo sia altrove e che si debba fare attenzione se ci si reca proprio là. Sono cresciuta a New York: davanti a casa mia c’era una strada e quando tornavo da scuola con la metro sapevo che dovevo percorrere il lato ovest di quella strada e non quello est perché da quella parte c’erano più possibilità di essere stuprata o rapinata. Quando si vive in Israele si sentono gli israeliani dire: ‘Ma come si fa a vivere in quegli insediamenti? Come fa la gente ad abitare in posti così pericolosi e ad allevarci i propri figli? Se si vive a Tel Aviv, si sente dire: ‘Ma come si fa a vivere a Gerusalemme? E’ pericolosissimo’. Quello che sto cercando di spiegare è che pensare di tenere sotto controllo i pericoli in cui ci troviamo è un’idea umana, e non politica”. Ma dal libro traspare anche un messaggio specifico rivolto ai lettori italiani. “Vorrei che si capisse che gli israeliani sono persone come tutte le altre, alle quali stanno a cuore esattamente le stesse cose che premono agli italiani. Per esempio, sposarsi, non sposarsi, avere un figlio oppure no, quale carriera intraprendere, dove andare in vacanza e così via. Il mio messaggio è che la natura umana è molto simile ovunque ci si trovi, ma si tende a dimenticarlo e a guardare gli altri paesi come se fossero su un altro pianeta”. Blum parla di “un altro pianeta” e questa sua espressione richiama un’affermazione che l’autrice ha sostenuto pubblicamente in merito a suo padre, il saggista Norman Podhoretz: in pratica, lo ha accusato di essere stato rapito dagli alieni a causa delle sue opinioni sul ritiro. Qual è il motivo principale del contrasto su questo argomento? “Mio padre ritiene che grazie alla guerra di Bush contro il terrorismo, alla neutralizzazione dell’Iraq (sebbene il conflitto non sia ancora concluso) e all’intimidazione di altri paesi per giungere alla democratizzazione, Israele sia oggi in una situazione geopolitica molto più sicura. Quindi ritiene che il pericolo proveniente dal resto del mondo musulmano sia stato essenzialmente sventato e che la coppia Bush-Sharon faccia sì che una mossa come il ritiro sia sicura e non pericolosa per Israele. Non mi convince. Abbiamo assistito a quello che accade quando scade il mandato di un leader. Quindi, anche se credessi, come mio padre, che la combinazione di Bush e Sharon sia una miscela perfetta per assicurare la democrazia ovunque, inclusa l’Autorità palestinese, sono anche consapevole del fatto che tra pochi anni entrambi non saranno più al posto di comando. Allora la domanda è: cosa succede dopo? Non credo che nei prossimi due anni, prima che scada il mandato di entrambi, il mondo intero sarà democratizzato, e penso sia pericoloso puntare tutto su una tale eventualità”. Blum è anche preoccupata dal fatto che l’Europa e gli Stati Uniti non condividano obiettivi comuni sul medio oriente: “Dipende: a quale Europa vogliamo riferirci? All’Europa che sarà dominata dai musulmani o a quella radicale? Credo che la natura umana sia più forte della politica. L’Europa ha una cultura talmente ricca: musica, arte, letteratura, architettura, e sarebbe una tragedia se diventasse un continente dove tutte queste cose sono cancellate dall’ideologia che diventa dominante. Gli europei hanno sempre scherzato sugli americani per la loro superficialità, per la mutevolezza o per il fatto di non avere gusto in fatto di cucina. Ma sarebbe a dir poco ironico ed estremamente triste se mettessero da parte l’America e abbracciassero una cultura che li vuole solo spazzare via”. Amy Rosenthal, da IL FOGLIO di giovedì 11 agosto 2005 |
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