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La Stampa Rassegna Stampa
14.04.2020 Putin usa la pandemia contro l'Occidente: parla Garry Kasparov
Lo intervista Gianni Vernetti

Testata: La Stampa
Data: 14 aprile 2020
Pagina: 1
Autore: Gianni Vernetti
Titolo: «Kasparov: Putin usa la pandemia contro l'Occidente»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/04/2020, a pag. 1 con il titolo "Kasparov: Putin usa la pandemia contro l'Occidente" l'intervista di Gianni Vernetti a Garry Kasparov.
L'ultima domanda a Kasparov:
Qualche tempo fa il suo nome è stato cancellato dal libro ufficiale delle vittorie dello sport sovietico e russo. Come si sente a non esistere più? «Nulla di strano purtroppo. C'è un vecchio detto sovietico che recita: "Noi russi viviamo in un paese con un passato imprevedibile". Tentare di riscrivere la storia è un classico delle dittature».

E in Italia ci sono ancora qualche minus habens che chiama Putin "leader"! l'unico nome che spetta allo zar russo, ex KGB, è dittatore

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Gianni Vernetti

Garry Kasparov: Russia's tech threat is 'tactical,' China's 'strategic
Garry Kasparov

Garry Kasparov, 57 anni, è stato uno dei più grandi scacchisti di tutti i tempi, vincendo praticamente tutte le competizioni mondiali fra il 1986 e il 2005. Da quando si è ritirato dalle competizioni scacchistiche, ha dedicato tutto il suo tempo all'impegno politico e alla scrittura. Nel 2008 gli è stato impedito di candidarsi alla presidenza per sfidare Vladimir Putin ed è stato a lungo uno dei leader dell'opposizione liberale e democratica in Russia. Dal 2015 vive a New York in esilio volontario e attualmente presiede la "Human Rights Foundation" e la "Renew Democracy Initiative", organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani e nella promozione della democrazia liberale in Russia e nel mondo. Lo raggiungiamo telefonicamente nel suo ufficio in una New York in pieno lockdown da coronavirus.

Informazione Corretta
Vladimir Putin

Una nuova riforma costituzionale che permetterà a Putin di governare fino al 2036 e le fabbriche di fake news di nuovo a pieno regime per dimostrare come l'Occidente sia debole e impreparato nel contrasto della pandemia. Crede che la Russia di Putin stia usando l'emergenza coronavirus per destabilizzare l'Europa? «Se parliamo di "riforma costituzionale", i vostri lettori potrebbero pensare ad un processo "legale", fatto di referendum, dibattiti in Parlamento, eccetera. Nel caso della Russia si tratta invece dell'ultimo stadio della dittatura di Vladimir Putin, con poteri illimitati e senza limiti temporali. La pandemia globale sta purtroppo aiutando i dittatori in varie parti del mondo a ridurre diritti e democrazia e al tempo stesso a esportare il massimo dell'instabilità possibile nel mondo libero».
Si riferisce alla falsa narrativa promossa dagli stati autoritari che ritengono di essere più efficienti nella gestione di questa crisi con metodi antidemocratici? «Assolutamente sì. Guardi quanto sta accadendo in Russia, in Cina, ma anche in Ungheria. Sono settimane che i regimi dittatoriali, anche con l'uso spregiudicato della rete e delle fake-news, inondano l'Occidente di messaggi per mettere in dubbio l'efficacia dei sistemi democratici nel contrasto della pandemia. Il leit-motiv è sempre lo stesso: "I sistemi democratici non sono in grado di proteggervi. Guardate alla Cina. Solo un governo forte può garantire protezione e sicurezza". Questa falsa narrativa è una minaccia per le democrazie occidentali quanto, se non di più della pandemia».
Qualche giorno fa il Ministero della Difesa della Russia ha rivolto un forte attacco a La Stampa che ha espresso dubbi sulle reali intenzioni e sulla reale natura degli aiuti russi in Italia per la lotta al coronavirus. Qual è la sua opinione? «Quella è stata un'operazione militare e di intelligence, non certo un aiuto umanitario. L'operazione è stata gestita dall'esercito e dall'intelligence russa e Putin, inviando oltre 100 soldati in Italia, voleva raggiungere due obiettivi: vincere una campagna di pubbliche relazioni, mandando un messaggio di sostegno all'Italia, e al tempo stesso installare la propria intelligence sul terreno in un paese Nato. Vladimir Putin sta affrontando la crisi globale del coronavirus come una "guerra ibrida": esportando instabilità in un momento di grande difficoltà per l'Occidente, e tentando di distruggere la fiducia diffusa nel libero mercato e nelle società aperte fra le due sponde dell'Atlantico».
Crede che anche grazie alla nuova assertività della Russia e delle altre dittature, questa crisi provocherà un impatto negativo sui sistemi democratici occidentali? «Sconfiggere la pandemia è una battaglia lunga e difficile, ma credo che alla fine le democrazie ne usciranno più forti di prima. Se mettiamo da parte le fake-news e la falsa narrativa di Russia e Cina, non possiamo non renderci conto di come il grande sforzo di idee, innovazione scientifica e tecnologica e le nuove soluzioni stiano tutte nascendo nel mondo libero: non passa giorno che in Europa, Corea del Sud, Usa, Taiwan o Israele, start-up e gruppi di scienziati progettino nuove maschere e nuovi ventilatori, tecnologie innovative di tracciamento, test meno costosi e più rapidi. La crisi pandemica non farà che confermare il valore aggiunto del mondo libero nella ricerca di soluzioni per una semplice ragione: i sistemi dittatoriali non permettono né la libera circolazione delle idee, né tanto meno un confronto aperto e "open source" fra i tanti progetti scientifici. Nei regimi non fanno premio le nuove idee e l'innovazione, ma la catena centralizzata di comando e controllo. In quei sistemi le idee innovative fanno fatica ad emergere».
Crede che in seguito alla pandemia sia possibile una nuova alleanza strategica fra Russia e Cina? Qual è il posto della Russia nel mondo? «No, non credo che sia possibile. Vladimir Putin non ha una visione strategica, ma si concentra solo sulla propria sopravvivenza. La Cina gioca invece sul lungo periodo con una visione globale alternativa all'Occidente. Ben che vada la Russia, anche alla luce della sua debole economia, potrà essere solo uno "junior partner" del gigante cinese. Ma il posto della Russia è certamente in Europa: storia, cultura, letteratura… È molto più ciò che ci unisce da ciò che ci divide. La Russia deve essere solidamente ancorata all'Europa. E la Russia ha solo due alternative: o diventare uno stato vassallo della Cina autoritaria o far parte di una grande Europa libera e democratica».
Crede quindi che la crisi pandemica produrrà un forte impatto sulla tenuta del regime di Vladimir Putin? «Forse è un po' presto per costruire una previsione affidabile, ma credo che questa crisi possa avere un effetto drammatico sul regime di Mosca. Se il prezzo del petrolio, per esempio, non tornerà a salire e si stabilizzerà, il crollo dei prezzi del greggio avrà un impatto enorme sulla tenuta del paese fino a mettere in crisi il regime stesso. E questo potrebbe essere un esito inaspettato della crisi del coronavirus».
Qualche tempo fa il suo nome è stato cancellato dal libro ufficiale delle vittorie dello sport sovietico e russo. Come si sente a non esistere più? «Nulla di strano purtroppo. C'è un vecchio detto sovietico che recita: "Noi russi viviamo in un paese con un passato imprevedibile". Tentare di riscrivere la storia è un classico delle dittature».

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