Ruthie Blum descrive in realtà un paese che ai lettori italiani apparirà, lo sento, pazzesco, inimmaginabile dalla mente viziata dell’Occidente, del tutto contrario agli stereotipi correnti; un paese in cui la libertà e la democrazia hanno un loro forte, aspro sapore di miele scuro; qui anche sedersi a un caffè è un gesto di sfida alla peggiore espressione del totalitarismo, il terrorismo suicida. Qui anche quando vai al supermarket, quando fai jogging o ti innamori, sei un consapevole militante della vita quotidiana, della libera scelta, della sfida alla follia.
Ruthie Blum è una militante del “nonostante tutto”, della scelta di vivere pienamente, all’aria, in casa, a scuola, al caffè, al concerto, a letto… che fa di Israele un luogo così eguale e diverso. La sua vita quotidiana è un racconto straordinario perché riesce a essere normale fra le bombe e si porta dietro l’eco degli scoppi. Ruthie ci racconta Israele com’è, appunto lasciando la cronaca ma parlando d’altro, di sesso, di soldi, di amore, di solitudine, di figli. Sa giocare con il leitmotiv delle bombe che scoppiano ovunque, ridendo della paura materna per il figlio che guida un po’ ebbro e che, nell’udire le sirene, la rassicura dicendo che “è solo un attacco terroristico”, così come dei soliti assembramenti di fronte ai metal detector in cui ne succedono di tutti i colori, perché gli israeliani in coda danno il peggio di una cultura che non riesce a imparare l’educazione ed è certo poco britannica. Ruthie vive e pensa secondo la sua idea di libertà, senza nessun compromesso, nessuna concessione al senso comune, in costante combattimento. Spero che finalmente le storie della vita quotidiana che ha saputo narrare facciano capire qualcosa di Israele al pubblico italiano.