'Unorthodox', un film da non perdere Recensione di Natalia Aspesi
Testata: La Repubblica Data: 12 aprile 2020 Pagina: 32 Autore: Natalia Aspesi Titolo: «Fuga da New York, la sposa infelice cerca la libertà»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 12/04/2020. a pag.32 con il titolo "Fuga da New York, la sposa infelice cerca la libertà" il commento di Natalia Aspesi.
Giovanni Quer (1983), direttore del Centro Kantor per lo studio dell'Ebraismo Europeo Contemporaneo e dell'antisemitismo, Università di Tel Aviv
Ecco l'articolo:
Natalia Aspesi
La festa era stata di rumorosa allegria, donne da una parte a ondeggiare felici nei loro turbanti, gli uomini dall'altra, coi loro colbacchi di visone, le lunghe barbe ricciute, e i lunghi boccoli (payot) ai lati della faccia a ballare e cantare a squarcia gola: la bella sposa bambina, 17 anni, nel sontuoso abito di pizzo bianco, il giovane sposo timido ed emozionato, incapace di guardarla: ore e ore di gioia, di attesa, e lei al centro di tutto. Poi finalmente a casa soli, lei, lui, sconosciuti, spaventati, muti, uniti non per fare l'amore ma per compiere un obbligo fecondo, fare un figlio, tanti figli, per ridare al mondo il loro popolo annientato. Lei entra per prima nella camera nuziale, due lettini a distanza, si distende sul suo, chiusa nella lunga casta camicia da notte, in attesa. Lui in bagno si spoglia e si ricopre delle fitte vesti rituali, si china sulla sposa, si distende sudi lei: sono ambedue vergini e non sanno nulla, emozioni indecifrabili, desideri colpevoli, terrore. Le teste non si sfiorano, i baci non esistono, le carezze proibite, non un abbaglio di nudo, quel silenzio affannato. Ma lei non ce la fa: quella penetrazione faticata e triste le fa troppo male, la rifiuta: e lo farà per quasi un anno. Questa è forse la scena più dura, ma non la sola, di Unorthodox, la nuova miniserie Netfiix in quattro puntate di massimo successo, ispirata all'autobiografia dallo stesso titolo, un bestseller non ancora pubblicato in italiano: è uscito nel 2012, l'autrice è Deborah Feldman che oggi ha 34 anni, nata e vissuta sino al 2006 a Brooklyn nell'immenso distretto popolare di Williamsburg dove convivono italoamericani, sudamericani e soprattutto ebrei Satmar hassidim, ultraortodossi diversi da quelli israeliani, tanto da essere antisionisti, da rifiutare l'esistenza di Israele: sul milione e 100mila ebrei di New York sono circa 80mila, completamente isolati dal resto della città, asserragliati in un quartiere che si sta imborghesendo minacciando la segregazione Satmar. La miniserie e il libro da cui è tratta sono un racconto spietato di un modo di vivere che fuori dai confini della comunità (che gli americani chiamano setta) appare certamente incomprensibile. Col consenso di Feldman la storia è stata riscritta nella parte berlinese, in una Berlino assolata e lucente, la realizzazione è tutta femminile, l'americana Arma Winger e le tedesche Alexa Karolinski e Maria Schrader. Come è femminile l'angosciante documentario One of us (Netflix) di Heidi Ewing e Rachel Grady, sulla fuga di una madre di sette figli e di altre persone dalla New York ultraortodossa. La protagonista di Unorthodox si chiama Esty (come Esty Weinstein, che dopo aver scritto il romanzo Esaudisco il suo volere, fuggita dalla famiglia Hassidim israeliana, si è uccisa), fugge dal marito, dalla comunità e dagli Stati Uniti e arriva a Berlino, dove vive la madre che l'ha abbandonata molto piccola, la città dove c'è il più grande cimitero ebraico del mondo con 100 mila tombe, nel cuore del paese dove la sua gente, i suoi trisnonni, sono stati massacrati: per affrontare una vita ignota, in uno spazio di libertà e quindi di pericolo senza limiti, sola tra giovani incontrati per caso, ebrei e non ebrei, che subito l'accolgono in amicizia. A Brooklyn Esty viveva con la nonna, padre ubriacone assente: abitini accollati e lunghi, monacali e color fango, calze spesse, niente tacchi, niente trucco ovvio, proibito il canto femminile che induce gli uomini al peccato, niente televisione, pc, iPhone, strumenti del diavolo, se non per gli affari, mai preso un autobus, mai vista Manhattan, sola lingua l'yiddish, proibite le biblioteche con testi in inglese (eppure lei riesce a leggere di nascosto il diabolico Piccole donne!). La gelida zia le combina il matrimonio senza chiederle il parere, e da quel momento, dopo quella fiabesca cerimonia, dopo quella notte spaventosa, ogni speranza, ogni sogno, ogni desiderio, svanisce. Il mondo Satinar era l'Ungheria, i sopravvissuti allo sterminio sono arrivati a New York, decisi a non integrarsi mai e gli uomini con le grandi barbe continuano a tramandarsi le antiche tradizioni religiose, le leggi, l'alimentazione, l'abbigliamento, studiano i libri sacri proibiti alle donne, puniscono, decidono, eppure la miniserie racconta una storia di oppressione da parte delle donne: la madre del futuro sposo che la sceglie guardandola al supermercato e che diventata suocera comanda il figlio a bacchetta, si intrufola nella loro vita sessuale, la minaccia perché dopo un anno di matrimonio non è ancora incinta; è una orribile donna quella che sorveglia i suoi bagni rituali, è una donna vile l'untuosa signora che la prepara ai doveri matrimoniali di cui lei nulla immagina: "Hai due buchi, tu ti metti sotto e lui sopra, solo il venerdì sera se no dormite divisi, prima della penetrazione pensa al profumo delle rose fresche, se continua a farti male ti do questi oggetti di vario formato e li usi". Lo ha detto anche la Feldman in una intervista, "Gli uomini Satmar dettano legge, ma sono le donne a servirsene". Bellissime canzoni, armonioso yiddish sottotitolato, attori eccezionali, belli e bravi, tutti ebrei, israeliani e tedeschi, protagonista Shira Haas, 25 anni, già vista nella divertente serie sempre ad ambiente ortodosso Shtisel (Netflix), col corpo di bambina e quando finalmente getta via la parrucca, di rigore per le ortodosse sposate, la sua testa implume bionda è il segno della sua commovente rinascita. Sulle rive del lago il ragazzo tedesco con cui ha fatto l'amore le indica la villa dove nel 1941 fu firmata la soluzione finale. "E tu ci fai il bagno?". "Perché no, un lago è un lago".
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