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Quando il virus istiga all’odio contro Israele
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
E’ stato a marzo che gli effetti catastrofici della pandemia sono apparsi in Occidente. A marzo la Pasqua ebraica si sta già avvicinando e per secoli questo periodo è stato tristemente propizio per le accuse di omicidio rituale, secondo cui gli ebrei erano sospettati di uccidere dei bambini cristiani per usare il loro sangue al fine di prepararsi le Matzot, il pane azzimo tipico di questa festività. Detto pane è fatto unicamente di acqua e di farina senza lievito, ma non importa. E non importa se gli ebrei e l'ebraismo non siano per nulla responsabili del Covid-19: la realtà è che questo ha scatenato una nuova ondata di antisemitismo. Caricature oscene e discorsi incendiari stanno invadendo i social network. La cosa più sorprendente, questa volta, è che gli attacchi si rivolgono anche contro Israele e che debordano dalla rete dei social network per venire allo scoperto sui media più famosi. Cosa si può dire di un articolo pubblicato su Le Monde il 5 aprile, firmato da Jean-Pierre Filiu? Sotto il titolo “ ‘Vincitori’ e ‘vinti’ del coronavirus in Medio Oriente”, possiamo leggere: “In Medio Oriente Netanyahu risulta essere il principale beneficiario della crisi da coronavirus ... ha sfruttato la minaccia del coronavirus per appellarsi all’ “unità nazionale”. Passiamo alla “minaccia”: Filiu sottintende che fosse immaginaria? e arriviamo all ' “Ultimo ‘vincitore’, in questa fase molto relativa, della crisi sanitaria: Daesh.” Edificante. Pochi giorni prima, il 26 marzo, era stato Le Nouvel Observateur ad aprire le sue pagine a un atto di accusa senza appello contro Israele. L'autore? Un funzionario nel Ministero dell'Economia palestinese. “Ora abbiamo due nemici: l'occupazione israeliana e il coronavirus. Entrambi sono dei nemici dell’umanità." E per concludere: “Hanno impedito ai palestinesi di lavorare, privando le famiglie del reddito. Ci mancano medicine, specialisti e attrezzature. I nostri pazienti non hanno più strutture che potrebbero curarli, a causa della mancanza di spazio e materiali. Non è quello che questo coronavirus fa ai Paesi del mondo?” Un modo elegante per paragonare Israele ad un virus.
Ovviamente, questo discorso non è stato accompagnato dalla reazione di un funzionario israeliano. Le Nouvel Observateur non ha neppure reputato necessario citare il rapporto delle Nazioni Unite pubblicato quattro giorni prima. Eccolo qui: “Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite - Territori palestinesi occupati - Rapporto del 24 marzo” “Dall'inizio della crisi, le autorità palestinesi e israeliane hanno mantenuto una cooperazione stretta e senza precedenti sugli sforzi per contenere l'epidemia. Dei rappresentanti dei due Ministeri della Sanità, come pure il Coordinatore israeliano delle Attività Governative nei Territori (COGAT), si sono incontrati regolarmente per concordare questioni di reciproco interesse, come gli accordi riguardanti i lavoratori palestinesi impiegati in Israele. Nel quadro di questi sforzi, il COGAT sta facilitando quattro corsi di formazione per gruppi di medici palestinesi, mentre il Ministero della Sanità israeliano ha donato più di 1.000 kit di test e migliaia di ERPP (mascherine) alla Cisgiordania e a Gaza. Nonostante le tensioni e le controversie di lunga data, ci sono stati anche una cooperazione ed un coordinamento continui tra l’Autorità palestinese con base a Ramallah e le autorità di Hamas, con base a Gaza, sugli sforzi volti ad affrontare l’attuale crisi.” Un rapporto proveniente da un'organizzazione che di solito ha l’abitudine di incolpare Israele e che curiosamente questa volta non ha trovato eco nella stampa francese.
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