In tutto il mondo, alla televisione, si è potuto assistere all’incredibile scena in cui la polizia israeliana stava sistemando transenne tutt’intorno alla città di Bnei Brak, duramente colpita dal virus, per arginare la sua diffusione. Una misura mal vissuta da parte della popolazione di questa città ultraortodossa, già diffidente per tradizione verso le autorità, la cui legittimità non è da tutti riconosciuta. E’ noto che i giovani della comunità si rifiutano di svolgere il loro servizio militare e che questo problema ha innescato molte crisi politiche. Ora all’improvviso migliaia di soldati hanno invaso la città. Questa volta, non è per venire a cercare qualche disertore. No. Muniti di guanti e mascherine, questi soldati vanno di casa in casa portando pacchi di cibo alle famiglie in isolamento, quelle stesse famiglie che non molto tempo prima li avrebbero fischiati e tacciati di essere nazisti. Chi si recasse negli enormi magazzini delle grandi catene di supermercati potrebbe vedere lo spettacolo insolito di soldati in uniforme, sempre con guanti e mascherine, impegnati a preparare i pacchi di provviste alimentari. In un tentativo di migliorare il dialogo, l'unità distaccata a Bnei Brak dispone anche di un prezioso mini dizionario ebraico-yiddish con traslitterazione in caratteri latini delle espressioni in yiddish. C’è poi un'altra unità che presta la sua opera a Mea Shearim, il quartiere ultra-religioso di Gerusalemme dove in tempi normali le strette viuzze pullulano di un mondo che sembra appena uscito dalla Polonia d’anteguerra. I soldati lì non sono mai i benvenuti e spesso vengono aggrediti. Ancora oggi, le squadre che giungono al volante di veicoli medicalizzati per effettuare test di screening alle persone che temono possano essere state contagiate, qualche volta vengono prese a sassate. Inoltre, è sempre l'esercito a gestire alberghi attualmente trasformati in residenze per pazienti affetti dal virus ma che non presentano sintomi. A loro sarà ora affidata un'altra responsabilità: occuparsi delle case di riposo, dove i servizi sanitari, che svolgono un lavoro eccezionale a livello professionale, non riescono a gestire una situazione che diventa giorno dopo giorno sempre più catastrofica, tenendo conto dell'età avanzata dei residenti e della mancanza di preparazione del personale. L’abbiamo capito: Tsahal è in prima linea nella lotta contro il covid 19. “Questa è una guerra”, ripete Naftali Bennet, il focoso Ministro della Difesa che da diverse settimane reclama che questa battaglia venga affidata totalmente all'esercito. Il Ministero della Salute, dice, non è attrezzato per affrontare una pandemia di questa portata. Quindi, sotto la guida dello Stato Maggiore, le varie unità di Tsahal si stanno attivando da un capo all’altro del Paese. Lo fanno con tutto il cuore e senza protestare contro mansioni ben lontane da quella che è la loro funzione principale. Mansioni che li espongono a un tipo di pericolo sconosciuto. A stretto contatto con persone positive al Coronavirus, sono decine se non centinaia i soldati contagiati a loro volta. Lo stesso Capo di Stato Maggiore della Difesa è stato tenuto in isolamento per diversi giorni – il tempo necessario per verificare che non fosse stato colpito dal virus. Nel complesso, Israele trova in questa straordinaria mobilitazione una fonte di grande orgoglio in questi tempi difficili.