La storia del console che salvò migliaia di ebrei durante la Shoah Recensione di Susanna Nirenstein
Testata: La Repubblica Data: 05 aprile 2020 Pagina: 20 Autore: Susanna Nirenstein Titolo: «Il console onorario»
Riprendiamo da REPUBBLICA - Robinson del 04/04/2020 a pag.20, con il titolo "Il console onorario", la recensione di Susanna Nirenstein.
Susanna Nirenstein
Jan Brokken - la copertina (Iperborea ed.)
Era ancora possibile sperare? Nel luglio 1940 i tedeschi avevano già travolto l'occidente e la Polonia, mentre a oriente il patto Molotov-Ribbentrop cristallizzava fino al giugno 1941 lo status quo nei paesi baltici. In Lituania, con i nazisti alle porte da un lato e i bolscevichi pronti, secondo gli accordi, a prenderne il controllo dall'altro, la tensione e la paura tagliavano l'aria: le migliaia di ebrei polacchi e non solo che avevano passato disperatamente e illegalmente il confine con il Terzo Reich per sfuggire alla morte, bussavano alle porte di ogni sede diplomatica per un lasciapassare verso un luogo sicuro. A Kaunas, provvisoriamente capitale lituana, nel luglio '40 si sparse una voce: «il console olandese rilascia un visto per Curaçao!»: era un posto sconosciuto, parte del Regno dei Paesi Bassi, nel Mar dei Caraibi, dall'altra parte del mondo, ma poteva rappresentare una scappatoia. L'idea di Curaçao aveva conquistato il neoconsole 43enne Jan Zwartendijk, direttore della sede Philips a Kaunas, senza che il suo governo lo sapesse. In poco più di due mesi, con quell'invenzione, avrebbe salvato più di 2200 ebrei, una cifra che, poiché ogni salvacondotto valeva per tutta la famiglia, raggiunge quota 10.000 secondo Jan Brokken, lo scrittore di questo meraviglioso e meticolosissimo I giusti, dedicato a Zwartendijk e ad altri coraggiosi diplomatici che, come Perlasca e Wallenberg in Ungheria, salvarono migliaia di ebrei. Jan Zwartendijk non aveva escogitato tutto da solo: due erano state le persone che gli avevano suggerito l'escamotage. Una era Peppy Sternheim Lewin, olandese, moglie di un rabbino, venuta dalla Polonia (dove i suoi vennero catturati e uccisi nel '42), approdata illegalmente in Lituania come altri 30.000 ebrei. Fu lei ad avere l'intuizione che un lasciapassare per Giava (nelle Indie olandesi) poteva essere una via d'uscita e per questo scrisse al suo ambasciatore a Riga De Decker, il quale gli rispose che le Antille Olandesi, tra cui Curaçao e Suriname, non richiedevano permessi di sorta: glielo avrebbe scritto e sottoscritto in francese sul passaporto. II 22 luglio Peppy era già davanti a Zwartendijk per farsi copiare quella dicitura sui documenti di marito, madre e fratello: Jan non esitò, timbro, data, firma, e il trucco era fatto: non era un visto, ma ci assomigliava. Ora toccava inventare come proseguire: rimaneva un solo itinerario, attraversare la Russia con la Transiberiana, arrivare a Vladivostok e da lì prendere un traghetto per il Giappone, sperando poi di poter arrivare a Curaçao, in Australia, Nuova Zelanda, lisa... Non semplice, ma non impossibile. Pochi giorni dopo, il 26 luglio, Peppy entrò nel consolato giapponese, da Chiune Sugihara, che assentì, prese il pennino e calligrafò sui documenti di viaggio sci brevi colonne di logogrammi che permettevano il transito nello stato nipponico. Peppy era la numero 16, l'avevano preceduta 15 persone capeggiate da Nathan Gurwirth, studente della scuola superiore talmudica che, già amico di Zwartendijk, aveva avuto (prima o dopo Peppy?) l'idea di Curaçao: inventato il cavillo e avuto l'assenso di Jan e Sugihara sparse la voce tra i suoi compagni di yeshivah, spingendoli a muoversi prima che la tenaglia si chiudesse (chi non seguì il suo consiglio ebbe una sorte terribile, prima per mano degli antisemiti lituani poi per quella dei nazisti che nel '41 conquistarono il Paese). Iniziarono giorni turbinosi: davanti alle due sedi diplomatiche si crearono code infinite. Jan Zwartendijk, detto anche Mr Philips, si fece costruire un timbro con la scritta in francese, Sugihara lamentava crampi insopportabili alla mano, mentre entravano in quegli uffici decine di storie di vita disperate, molte documentate da Brokken rintracciando i discendenti. I sovietici presero possesso della città, ma lasciarono momentaneamente aperti quei consolati. Non solo, dettero agli ebrei il lasciapassare fino a Vladivostok: perché? Per sete di valuta estera, suggerisce Brokken, per i 400 dolIari che la Transiberiana costava ad ognuno: moltiplicate 400 dollari per le circa 10.000 persone che ne usufruirono e lo capirete. Poi il gioco finì, Zwartendijk il 3 agosto dovette chiudere la sede (ma seguitò, non sappiamo dove, a suo particolare rischio e pericolo a distribuire permessi fino alla parten za, il 3 settembre, per l'Olanda occupata): Sugihara lavorò fino alla fine di agosto, rilasciando visti persino dal treno in partenza verso Koenigsberg. Per gli ebrei iniziò il viaggio. E fu il Giappone, Kobe, Shanghai (pagine bellissime), dove altri diplomatici si arrampicarono sugli specchi per trovare uno sbocco ai profughi. Ad alcuni, pochi, andò male, finirono nei lager giapponesi in Birmania, ma per la netta maggioranza si aprì la strada verso una nuova vita negli lisa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sudamerica, Israele naturalmente. Dopo infiniti ostacoli, Sugihara (1985) e poi Zwartendgk (1997), furono riconosciuti Giusti tra le Nazioni dallo Yad Vashem di Gerusalemme.
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