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Il Giornale - Il Foglio Rassegna Stampa
01.04.2020 Virus cinese: le responsabilità di Pechino tra menzogne e finti 'aiuti'
Commenti di Paolo Bracalini, Giulio Meotti

Testata:Il Giornale - Il Foglio
Autore: Paolo Bracalini - Giulio Meotti
Titolo: «Trump si riprende l'Italia. La Cina ci invade di balle con falsi tweet sul virus - Il virus che veniva dalla Cina»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 01/04/2020, a pag. 11 con il titolo "Trump si riprende l'Italia. La Cina ci invade di balle con falsi tweet sul virus", il commento di Paolo Bracalini; dal FOGLIO, a pag. 2, con il titolo "Il virus che veniva dalla Cina", il commento di Giulio Meotti.

Ecco gli articoli:

IL GIORNALE - Paolo Bracalini: "Trump si riprende l'Italia. La Cina ci invade di balle con falsi tweet sul virus"

Chinese woman becomes Thailand's 5th confirmed case of Wuhan virus ...

Dietro la battaglia contro il virus c'è un secondo fronte di lotta meno visibile, quello geopolitico tra superpotenze per l'influenza sull'Italia. Con il filocinese M5s al governo e agli Esteri Luigi Di Maio, grande sponsor dell'asse Roma-Pechino pronto a fare da megafono ad ogni aiuto in arrivo dalla Cina, il posizionamento filoatlantico del nostro Paese non è più scontato. Tanto che persino nel Pd (il partito nipote del Pci) è scattato l'allarme per l'eccessiva sponda offerta dalla Farnesina alla propaganda cinese (tra ministri dem e diplomatici gira questa battuta: il Maeci, sigla per Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, lo chiamano «MAOci»). Dopo giorni di martellamento, soprattutto sui social, sugli aiuti inviati da Pechino rilanciati in pompa magna da Di Maio, si è attivato il fronte diplomatico opposto. Un primo segnale è arrivato dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini (Pd), che ha sentito il bisogno di rimarcare pubblicamente l'appartenenza dell'Italia ad un preciso schieramento internazionale: «Grazie a Cina e Russia per gli aiuti ma i pilastri della nostra politica di sicurezza sono la Nato e l'Europa». Ma soprattutto è arrivato il segnale concreto da Washington, l'invio all'Italia di prodotti sanitari, chirurgici e ospedalieri per 100 milioni di dollari, compresi i nuovi kit per i test veloci prodotti dalla Abbott Laboratories. Impegno sancito da una telefonata cordiale di Donald Trump con il premier italiano, «Giuseppi was very very happy» ha detto in conferenza stampa alla Casa Bianca il presidente Usa, aggiungendo che «in Italia «stanno attraversando un momento difficile». Conte, su Twitter, ha espresso «gratitudine per la solidarietà e il supporto degli amici americani». Un rapido riposizionamento del premier dopo l'eccessiva esposizione filorussa e filocinese del governo? Chi ha lavorato con lui esclude strategie così raffinate, il problema di Conte semmai è di non avere dimestichezza con la politica internazionale, «è un buon avvocato ma non ha mai gestito organizzazioni complesse, con Putin ho interagito più io di lui» spiega alla Stampa Michele Geraci, ex numero due al Mise, l'uomo della Via della Seta. Le aperture alla Cina fatte dai vertici M5s, non solo sul fronte commerciale ma anche su quello molto delicato del 5G, tecnologia sviluppata dal colosso cinese Huawei, hanno comunque destato molte preoccupazioni tra gli alleati dell'Italia, specie negli Stati Uniti. Il nostro Paese è considerato l'anello debole rispetto alla propaganda russa e cinese. Quest'ultima, nelle settimane dell'emergenza Covid19, sembra particolarmente attiva. Secondo fonti diplomatiche dell'Eliseo citate da Le Monde, ci sarebbe dietro un preciso «disegno geopolitico, Pechino vuole mostrare la sua forza, esibire il fatto di aver superato la crisi e aver sconfitto il virus al punto da venire in aiuto al mondo intero». Sui social italiani girano da giorni gli hashtag #forzaCinaeItalia e #grazieCina, rilanciati dall'ambasciata cinese a Roma. Ebbene, secondo un'analisi realizzata per Formiche dalla società Alkemy, «quasi la metà dei post su Twitter pubblicati con l'hashtag #forzaCinaeItalia è opera di bot», cioè account automatizzati «creati con il preciso scopo di fare da cassa di risonanza di account». Mentre un terzo di quelli con l'hashtag #grazieCina è stata generata ancora da robot. «Dai risultati della ricerca - conclude lo studio - sembra emergere una regia dietro la campagna di propaganda che ha circondato l'arrivo di aiuti dalla Cina in Italia».

IL FOGLIO - Giulio Meotti: "Il virus che veniva dalla Cina"

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Giulio Meotti

Con l'urbanizzazione e la crescita economica, è cresciuta anche la domanda da parte dei consumatori nei confronti degli allevatori. All'inizio degli anni Duemila i piccoli allevamenti di pollame si sono man mano trasformati in allevamenti intensivi - è così che, secondo gli scienziati, ha avuto origine l'influenza aviaria. Che colpisce soprattutto gli uccelli selvatici e domestici, ma in alcuni casi può essere trasmessa all'uomo. Nell'ultimo anno si sono registrati focolai in Slovacchia, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, e la scorsa settimana un allevamento in Sassonia, in Germania, è stato messo in quarantena e tutti i polli sono stati macellati per un focolaio di virus H5N8. Lo stesso virus che in Arabia Saudita un mese fa ha ucciso 22.700 volatili, e quasi quattrocentomila sono stati eliminati. Le autorità saudite, ancora oggi che per noi l'emergenza è un'altra, continuano a sensibilizzare la popolazione, con manifesti e messaggi sui social network: lavatevi le mani spesso, mantenete la distanza sociale, e non toccate i polli. Perché ovunque ci sia un contatto persistente tra uomo e animale aumentano le possibilità di uno spillover, di un virus che fa il salto. La popolazione e la densità abitativa fanno il resto. Se un focolaio si accende in un villaggio africano è più facile da controllare, se parte dai mercati di Canton o Shenzhen, tra i più frequentati del mondo, sarà impossibile fermarlo. “Le malattie del futuro, ovviamente, sono motivo di grande preoccupazione per scienziati ed esperti di sanità pubblica. Non c'è alcun motivo di credere che l'Aids rimarrà l'unico disastro globale della nostra epoca causato da uno strano microbo saltato fuori da un animale”, scriveva sempre otto anni fa Quammen. “Qualche Cassandra bene informata parla addirittura del Next Big One, il prossimo grande evento, come di un fatto inevitabile (per i sismologi californiani il Big One è il terremoto che farà sprofondare in mare San Francisco, ma in questo contesto è un'epidemia letale di dimensioni catastrofiche). Sarà causato da un virus? Si manifesterà nella foresta pluviale o in un mercato cittadino della Cina meridionale? Farà trenta, quaranta milioni di vittime?”. Non conosciamo ancora che tipo di salto abbia fatto il nuovo coronavirus. Uno dei motivi per cui fa così tanta paura il Sars-CoV-2 - e il Covid, la malattia provocata dal virus, che è particolarmente aggressiva - è che ne sappiamo molto poco: “I virus sono quelli che danno più problemi”, scrive Quammen, “Si evolvono con rapidità, non sono sensibili agli antibiotici, sono a volte difficili da trovare, possono essere molto versatili e portare tassi di mortalità altissimi”. Come funziona, come si diffonde, come sopravvive il nuovo coronavirus ancora non lo sappiamo. Gli scienziati vanno per esclusione. Una delle poche cose certe è che il virus non è stato creato in laboratorio. Lo dice la sua struttura genetica, e non un complottista con una connessione internet. Un'altra cosa che possiamo solo ipotizzare è la responsabilità dei pipistrelli oppure dei pangolini, quegli adorabili mammiferi, simili ai formichieri ma ricoperti di squame, che sono tra gli animali più trafficati illegalmente al mondo. Anche qui, secondo gli scienziati, non abbiamo ancora sufficienti prove. Il virus potrebbe essere saltato dal pipistrello direttamente all'uomo oppure aver usato un animale “ospite”, un intermediario (il pangolino, appunto). La struttura del Sars-CoV-2 è comunque simile quasi del tutto allo stesso tipo di virus trovato nei pipistrelli. Ci sono molte incognite ancora, ma c'è una cosa che a distanza di tre mesi di certo sappiamo: l'effetto che questa infezione virale provoca sulla popolazione e sui nostri sistemi sanitari. E abbiamo qualche indizio anche sul come gestirla, perché le epidemie virali - da coronavirus, da influenzavirus A, perfino da morbillivirus - le abbiamo già vissute. La scienza ci dice che un'epidemia virale può nascere ovunque, a fronte di determinate condizioni naturali. Poi c'è la politica, perché la risposta del governo - a seconda del suo sistema, della tenuta del suo sistema sanitario, dei protocolli di cui si è dotato un paese - è il primo argine al diffondersi di un'epidemia. Cominciamo a capire soltanto adesso quello che è successo in Cina, dove un governo autoritario e un macchinoso e burocratico sistema di comunicazione tra funzionari del Partito locali hanno provocato una catastrofe. Dicevamo che la maggior parte dei paesi asiatici aspetta la nuova epidemia mortale sin dal 2003. E' l'anno della Sars, l'anno in cui tutto è cambiato in Asia, soprattutto per quel che riguarda l'infettivologia. Anche la Cina si era dotata di un sistema celebrato come “modello”, che funziona attraverso la comunicazione pressoché immediata delle strutture sanitarie in tutto il paese con il Centro per il controllo delle malattie infettive di Pechino. Ogni volta che c'è un caso di una malattia infettiva, la struttura, anche la più lontana dalla capitale, è obbligata a segnalarlo all'autorità, che poi procede con l'identificazione del focolaio. Per qualche ragione ancora misteriosa, Gao Fu, a capo del Centro, scopre di una “polmonite atipica” che circola a Wuhan soltanto il 30 dicembre, e per caso. Il giorno successivo segnala la cosa all'Oms e l'emergenza diventa pubblica. Eppure sappiamo che i primi casi di quella stessa polmonite atipica si sono registrati almeno un mese prima. Se da una parte l'eccellente sistema di allerta non funziona, una volta che l'informazione arriva a Pechino una delle preoccupazioni principali del governo di Xi Jinping è quella di controllarne la narrazione. Usando gli strumenti che siamo abituati ormai a vedere. Nel frattempo è il Capodanno cinese, le persone si muovono, si spostano, viaggiano, i funzionari della provincia dello Hubei - che non è esattamente una provincia da terzo mondo, ma una regione super industrializzata della Cina e dalla quale dipende gran parte della filiera produttiva mondiale - minimizzano, anche per dare l'impressione a Pechino di avere tutto sotto controllo. Si fanno banchetti per il Capodanno (che a riguardarli oggi, somigliano molto a certi aperitivi a Milano subito prima di realizzare la gravità della situazione). Alcuni giornali stranieri come il New York Times e anche vari media cinesi - tra cui Caixin, specializzato in giornalismo d'inchiesta, vicino al vicepresidente della Repubblica popolare Wang Qishan - fanno quello che devono: vanno a vedere la situazione a Wuhan. I social network, non solo quelli, si riempiono delle immagini drammatiche di Wuhan, con le code davanti agli ospedali, e i cosiddetti citizen journalists raccontano una storia molto diversa da quella che viene messa nero su bianco dai giornali ufficiali della propaganda come il Quotidiano del popolo e il Global Times. Il 7 gennaio il virus viene finalmente identificato, e nei giorni successivi cominciano i casi fuori dai confini cinesi: Giappone, Singapore, Corea del sud, Taiwan, Vietnam. Il 23 gennaio il governo di Pechino non può più aspettare ed è costretto a prendere la situazione in mano. Soluzione? Lockdown generale. Prima della città di Wuhan, 11 milioni di persone, poi dell'intera provincia dello Hubei e man mano tutte le aree dove si verificano casi. Si stima una quarantena di (ufficialmente) almeno cinquanta milioni di persone, un esperimento unico, mai tentato prima, i cui effetti non sappiamo esattamente quali saranno. Il 18 marzo scorso la Cina ha dichiarato nessun nuovo caso sin dall'inizio dell'epidemia, la seconda bandierina della vittoria della guerra contro il virus - la prima risale al 10 marzo, quando il presidente Xi Jinping per la prima volta ha visitato Wuhan. Le persone che oggi, soprattutto in Italia, celebrano la vittoria cinese e soprattutto quel modello cinese, si basano su dati di cui purtroppo possiamo fidarci poco. Perché la vittoria cinese è soprattutto una vittoria politica. Ed è, più in generale, la vittoria dell'autoritarismo: con un sistema ipertecnologico già in piedi, un controllo sociale capillare, per Pechino è stato facile rimediare agli errori precedenti imponendo lo stato di terrore (una cosa molto simile allo: state a casa, perché se non morite a causa del virus morite per mano del Partito).

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