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Un’altra faccia dell’antisemitismo: il bolscevismo giudaico o giudeo-bolscevismo
Analisi di Giuliana Iurlano La copertina (Einaudi ed.) La conquista del potere da parte dei bolscevichi nel 1917 portò con sé una nuova ondata di antisemitismo in Russia e nell’Europa orientale. Da parte dei bianchi si disse che gli ebrei avevano aiutato i rossi e i rossi sostennero che gli ebrei erano gente inaffidabile, perché legata ad una concezione particolaristica della loro cultura, che si esprimeva nella diffusione delle idee del Bund, ma soprattutto in quelle nazionali del movimento sionista. L’Europa vide nel bolscevismo un pericoloso virus che si sarebbe diffuso in tutto il continente, ma soprattutto cominciò a radicarsi nella sua cultura una nuova accusa nei confronti degli ebrei: essi erano coloro che avevano inventato il bolscevismo e ne erano i diffusori: una “rivoluzione ebraica” che avrebbe portato la guerra civile nei paesi europei, annientato la borghesia e con essa l’economia capitalistica. Il bolscevismo giudaico era la nuova minaccia per la stabilità dell’Europa cristiana, ma anche del continente nordamericano. In esso si condensavano, con le necessarie varianti, tutte le accuse che nei secoli avevano caratterizzato la storia dell’antisemitismo. Il giudeo-bolscevismo era il nuovo diavolo: «Rappresentarlo come un diavolo coglieva bene – scrive Paul Hanebrink nel suo importante Uno spettro si aggira per l’Europa. Il mito del bolscevismo giudaico (Torino, Einaudi, 2019, pp. 307) – la paura diffusa e molto concreta dell’occupazione bolscevica, ma attingeva anche a una lunga tradizione che rappresentava gli ebrei come demoni e i piani ebraici come malvagi» (p. 33). In alcune regioni della Russia, confinanti con il Centro-Europa e tradizionalmente ricche di spirito nazionalistico e profondamente antisemite, la diffusione dell’idea che il bolscevismo fosse il prodotto di una congiura ebraica portò subito a vari pogrom particolarmente violenti: la conquista del potere centrale da parte ebraica nella forma del bolscevismo generava un odio ancora più feroce verso gli ebrei, che vivevano per la gran parte in quelle regioni. Quest’accusa si diffuse celermente anche in Polonia, Ungheria e Romania, paesi anch’essi profondamente antisemiti. E le origini della Grande Guerra, che distrusse l’Europa, furono individuate anch’esse in una congiura ebraica. Conclusa la guerra, l’Europa entrò in una fase di crisi, che in Germania portò alla conquista del potere da parte di Hitler. Come scrive Hanebrink, «il bolscevismo giudaico ha prodotto Hitler» (p. 81), diffondendo ulteriormente l’idea che il comunismo di matrice giudaica rappresentasse una minaccia all’ordine e alla civiltà in generale e incrementando l’antisemitismo cristiano. Così, l’attacco portato dai nazisti all’Unione Sovietica nel giugno del 1941 si nutrì anche di una missione civilizzatrice: lo sterminio totale degli ebrei e, di conseguenza, del comunismo, il loro frutto malefico. Allo stesso tempo, in un vasto settore dell’intelligentsia europea si diffuse l’idea che il giudeo-bolscevismo fosse tutt’uno con la barbarie asiatica sovietica, una miscela sterminatrice che avrebbe distrutto la civiltà della Vecchia Europa: «Questa immagine – l’Occidente sotto attacco – sopravvivrà al nazismo in modi singolari e imprevisti» (p. 162). La vittoria dell’Unione Sovietica nel secondo conflitto mondiale e la presa del potere da parte dei comunisti nei paesi dell’Europa orientale non fece altro che confermare in quelle popolazioni la certezza che il potere comunista fosse la proiezione di un occulto complotto ebraico, che ora la faceva finalmente da padrone nell’Europa orientale cristiana. Non fu facile per i comunisti al potere nei regimi orientali pro-sovietici allontanare da sé l’idea popolare che il giudeo-bolscevismo avesse demolito il carattere nazionale di quei paesi, dandolo in pasto agli ebrei. E quando l’Unione Sovietica si dissolse e il comunismo naufragò, l’idea nazionalistica riprese vigore nelle nazioni europee liberate dal comunismo e una nuova forma di antisemitismo si diffuse: gli ebrei avevano aiutato i comunisti sovietici ad impossessarsi del potere. I leader che avevano collaborato con i sovietici negli anni della guerra fredda si riciclarono rapidamente e «[…] molti allora si resero conto che utilizzare linguaggio e simboli antisemiti era utile per distanziarsi dal recente passato comunista, presentandosi con maggiore credibilità come difensori della sovranità nazionale […]» (p. 263).
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