Vai a capire. Il Coronavirus sta imperversando, la crisi economica si va aggravando, la disoccupazione è in aumento, la maggior parte della popolazione se ne sta reclusa in casa e con tutto ciò i nuovi immigrati, gli olim, non si lasciano scoraggiare. Durante questo mese di marzo, che non è ancora terminato, secondo i dati comunicati dall'Agenzia Ebraica, in oltre 900 sono atterrati sulla terra dei loro antenati. Vengono da tutto il mondo. Dall'Europa - Francia, Russia, Ucraina e Regno Unito; dall’America Latina - Argentina e Brasile; dal Nord America - Stati Uniti e Canada; e infine dall'Etiopia. Sanno, tuttavia, che non appena avranno messo piede sul suolo israeliano, dovranno osservare 14 giorni di quarantena rigorosa; tutti si sono impegnati a rispettarla. Certo, questa non è un’immigrazione di massa; c'è stato davvero un volo speciale con a bordo 72 emigranti dall'Etiopia e un altro dagli Stati Uniti, ma sono stati in prevalenza dei nuclei famigliari che hanno preso la decisione, da soli, di fare Aliya di questi tempi. Tutti sanno che gli inizi non saranno facili. Tuttavia, non hanno esitato a fare il grande passo. E Israele si è mostrato non solo pronto ad accoglierli, ma anche a facilitare il loro compito attraverso le sue rappresentanze diplomatiche all'estero. Rappresentanze che, nel frattempo, hanno fatto tutto il possibile per rimpatriare anche le migliaia di cittadini israeliani "naufragati" in ogni parte del mondo, a causa del blocco quasi totale dei voli e delle misure restrittive adottate dai Paesi in cui si trovavano. Sia gli uni che gli altri hanno potuto seguire e ammirare il modo in cui lo Stato ebraico si è assunto le sue responsabilità di fronte a una calamità che si è abbattuta su tutto il pianeta. Eppure, è solo oggi che l'interminabile rebus politico sembra aver trovato una soluzione. Il governo di transizione in carica da quasi un anno e che gestisce la crisi, potrebbe aver commesso degli errori, ma ha capito in tempo l'urgenza di agire, chiudendo i confini e imponendo restrizioni molto prima che lo facessero Europa e USA. Se i servizi sanitari di tutto il mondo si sono mobilitati e competono per dedizione e altruismo, è Gerusalemme che ha adottato le iniziative più innovative. E’ noto che gli hotel hanno dovuto chiudere le loro porte; per aiutare gli ospedali a gestire meglio l'afflusso di persone contagiate, il governo, espletata una gara d'appalto, ha stipulato un contratto con una grande catena alberghiera. Diverse strutture di lusso oggi accolgono, sotto stretto controllo sanitario, pazienti affetti da Covid-19 e contagiosi, ma che presentano sintomi scarsi o assenti. Un sistema di monitoraggio remoto consente al personale sanitario di continuare a seguire l'evoluzione della malattia, a determinare quando interviene la guarigione e quindi permettere alla persona di tornarsene a casa senza rischi per i propri cari. Una soluzione costosa certamente, ma che contribuisce al benessere del paziente e della sua famiglia. Infine, dobbiamo sottolineare la straordinaria cooperazione che si è installata con l'Autorità palestinese nella lotta contro la pandemia. Chi lo sa se i suoi effetti benefici si estenderanno oltre la crisi. Sempre secondo l’Agenzia Ebraica, dei nuovi immigranti sono attesi prima di Pasqua…
Michelle Mazelscrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".