Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/03/2020 a pag.13, con il titolo "Yuval Harari: 'La scienza globale è più forte del virus' ", il commento di Elena Loewenthal.
Elena Loewenthal
Quali sono le armi di cui disponiamo per combattere il coronavirus? Quanto durerà questa emergenza? Che cosa ci lascerà, per il futuro? A queste domande ha risposto lo storico israeliano Yuval Harari - noto anche in Italia per i suoi libri, come Homo Deus. Breve storia del futuro e 21 lezioni per il XXI secolo (entrambi da Bompiani) - in una rara intervista concessa alla anchorwoman Ilana Dayan per la rete Mako.
«La scienza è più forte del virus. L'arma fondamentale di cui l'umanità dispone oggi e che non aveva in passato è la conoscenza. La scienza è conoscenza più metodo: questa combinazione fa tutta la differenza, nella guerra contro il coronavirus», spiega.
L'umanità sta affrontando un evento epocale che detterà a lungo la vita politica, sociale, economica e anche culturale. Non sappiamo ancora quando finirà, quanto sia profondo il pozzo in cui ci troviamo. Harari conosce la storia, ha con questa disciplina una consuetudine quotidiana, «ma affrontare una epidemia da uomo e non da storico è molto diverso. Certo, fa più paura».
Yuval Harari
Oggi, però, grazie alla scienza e allo scambio di informazioni, «i dottori corrono più in fretta del virus». Il virus lavora sulla base del caso, i medici e la scienza no: procedono per analisi sistematica dei dati. La forza della scienza è il metodo, insieme alla capacità di collaborazione a livello globale. Alla base di tutto il nostro equipaggiamento c'è la conoscenza, scientifica e diffusa: un valore fondamentale del progresso e delle sfide che il mondo ci pone.
«La capacità di analisi propria della scienza è uno strumento formidabile», dice Harari, per aprire gli orizzonti. Tutto sta nel capire se l'epidemia diventerà occasione di rivalità globale o di consapevolezza comune. Non siamo inermi davanti al coronavirus. L'umanità non è mai stata «armata» come oggi.
A metà del XIV secolo la peste nera ci impiegò dieci anni per arrivare dalla Cina in Europa, e devastò il continente. Oggi ci sono volute due settimane per diffondere il coronavirus, ma la velocità del sistema non è necessariamente un male, anzi. In due settimane gli scienziati hanno mappato il Dna del virus, lo hanno decifrato. Sanno che cos'è, cosa fa. La peste, nel passato, è sempre rimasta un mistero. Non si sapeva nulla di quale fosse l'origine, di come si propagasse. La nostra situazione è molto diversa. I sistemi sanitari hanno una certa fragilità proprio perché si trovano ad affrontare tantissime patologie diverse, che si incontrano inevitabilmente in ospedale – e questo determina contagi.
Ma è anche vero che oggi «quando un medico di Milano scopre l'efficacia di un farmaco per contrastare gli effetti del virus, nel giro di poche ore quel farmaco è a disposizione di un suo collega a Tel Aviv, e dei suoi pazienti».
Il più grande successo di Harari (Bompiani ed.)
Resta ovviamente sempre una misura di incertezza: il virus ci grida che non abbiamo il controllo totale sulla natura, e ciò è inquietante. È un fattore di destabilizzazione. Ma il mondo può reagire di fronte a questa incertezza. La risposta che dobbiamo dare è quella della cooperazione: in questo senso la globalizzazione è giusta. Certo, vi è un paradosso di fondo. Oggi come oggi l'arma principale contro il diffondersi dell'epidemia è l'isolamento. Non è forse il contrario della collaborazione?
No, l'isolamento è positivo. È necessario. Yuval Harari propugna da sempre l'abbattimento dei muri, la società aperta. Ma in questo caso l'isolamento è giusto. Come abbiamo visto, il virus passa anche dai muri fisici: non sono quelli che servono. «L'isolamento umano oggi invece è necessario, purché sia un metodo e non un fare ognuno per sé. Non c'è contraddizione tra il chiudere le frontiere, interne ed esterne, e sentirsi parte di una comunità umana universale. Se l'isolamento come arma contro il virus è deciso e coordinato, allora diventa il perfetto modello di cooperazione globale». L'arma, insieme alla scienza, per combattere il virus.
Bisogna usare la globalizzazione, non temerla e nemmeno subirla. Ci vuole, insomma, un isolamento «giusto», consapevole: chiudersi contro il virus, non contro il resto del mondo. «La conoscenza condivisa è fondamentale», ripete Harari. È il cardine del progresso, ciò che ci rende meno disarmati che mai di fronte alle incertezze, alle minacce globali. E lo stiamo vedendo quotidianamente, in questi giorni.
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