Stalin e Hitler, due soluzioni finali Diego Gabutti legge Yuri Slezkine
Autore di La Casa del governo. Una storia russa di utopia e terrore, Feltrinelli 2018, e di Il secolo ebraico, Neri Pozza, 2011, Yuri Slezkine è nato in Russia nel 1956. Insegna storia russa e dirige l’Istituto di Slavistica di Berkeley, California, dov’è emigrato all’inizio degli anni ottanta. Ricostruzione senza eguali della vita della nomenklatura sovietica sotto Stalin, la prima classe sacerdotale e politica nella storia universale (forse bisognerebbe dire della «specie») che si sia autodivorata nello spazio di poche generazioni, La Casa del governo è, tra le altre cose, anche il racconto di come comunismo e nazismo lavorassero allo stesso progetto: la completa liquidazione del nemico – una «soluzione finale». Hitler e Stalin, nazifascismo e comunismo, non soltanto avevano «lo stesso nemico», come scrive Slezkine, un nemico che «i bolscevichi vedevano come una classe», mentre «i nazisti lo vedevano come una tribù», ma avevano anche lo stesso, terrificante, impassibile modo d’organizzarne lo sterminio sotto il profilo tecnico e burocratico. Come si vede dalla pagina del libro di Slezkine qui di seguito.
A Novosibirsk Mironov convocò una riunione dei comandanti regionali dell’Nkvd della Siberia occidentale e diede istruzioni sulla condotta dell’operazione: «Questa operazione va considerata un segreto di stato, con le conseguenze che ciò comporta. Adesso che vi metterò a parte del piano per il territorio nel suo insieme, ogni cifra che udite dovrà, per quanto possibile, morire dentro la vostra testa. Chi ne è capace deve cancellare quei numeri dalla sua mente, e chi non ci riesce deve costringersi a farlo ugualmente, perché chiunque sia trovato colpevole di divulgare le cifre complessive sarà portato davanti a un tribunale militare». Non occorrevano più di due o tre interrogatori per persona. Del confronto con i testimoni si poteva fare a meno. Tutto ciò che serviva era una confessione («una sola dichiarazione dovrà bastare»). L’obiettivo era «mandare alla troika una bozza già pronta della sua risoluzione». La scelta dei singoli nemici e la decisione se giustiziarli o incarcerarli toccava agli uffici regionali: «Per la prima operazione, la quota è di 11.000 persone, il che vuol dire che il 28 luglio dovrete arrestare 11.000 persone. Oppure potete arrestarne 12.000 o 13.000, o anche 15.000. Non preoccupatevi, non vi sto vincolando a questa cifra. Potete anche arrestarne 20.000 della Categoria 1, e in seguito selezionare quelli che rientrano nella Categoria 1 e quelli che vanno spostati nella Categoria 2. Per la Categoria 1, la quota che ci è stata data è di 10.800. Ripeto, potete arrestarne anche 20.000, così in seguito potrete scegliere quelli che rivestono un particolare interesse». Mironov concludeva con “alcune questioni tecniche». Liquidare un gran numero di persone e disfarsi dei loro corpi richiedeva accurati preparativi. Andavano predisposti alcuni «settori operativi» per eseguire “circa 1000 e in alcuni casi 2000 condanne a morte per ciascun settore. Dunque cosa deve fare il capo di un settore operativo al suo rientro? Deve trovare un luogo per eseguire le condanne a morte e un altro per seppellire i cadaveri. Se quel luogo è nella foresta, il tappeto erboso va rimosso in precedenza e poi rimesso al suo posto, così che il luogo in cui vengono eseguite le condanne a morte resti segreto e non diventi un centro di fanatismo religioso per vari controrivoluzionari e preti».