Lo sconcerto degli abitanti di Gaza
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
Il confine tra Israele e la Striscia di Gaza è stranamente calmo. Nessun aquilone incendiario, nessun pallone carico di esplosivi nel cielo. Finite le grandi proteste, con le decine di migliaia di Gazawi che cercano di attraversare la barriera di confine e irrompere all'interno di Israele. Un vento di panico soffia sulla Striscia. I leader di Hamas possono proclamare all’infinito, ogni santo giorno, che la pandemia di coronavirus che imperversa in Israele e all’interno dell'Autorità Palestinese, si è fermata alle porte del loro territorio, ma lo sanno davvero? Niente è meno sicuro. E i Gazawi non ne sono convinti. Sono ben consapevoli che i miliardi di dollari degli aiuti internazionali destinati al sistema ospedaliero sono stati sottratti da Hamas per fabbricare missili e costruire tunnel per attacchi terroristici, per non parlare del lussuoso tenore di vita dei leader. Gli ospedali, che sono gravemente carenti di tutto, non sarebbero in grado di affrontare un'epidemia; non hanno neppure i tamponi per il coronavirus. È un segreto di Pulcinella che, in caso di dubbio, i medici inviano i campioni all'ospedale Sheba di Tel Hashomer, in Israele. E’ la Croce Rossa che si fa carico del trasferimento dei campioni da analizzare e della trasmissione dei referti. Ma i referti non sono resi pubblici. Da qui nasce la crescente preoccupazione della popolazione che si sente impotente di fronte a un flagello di cui si sa poco e per il quale non esiste ancora alcuna terapia specifica né un vaccino. Non esistono servizi in grado di curare le persone colpite, e neppure di controllare efficacemente coloro che rientrano dall'estero. Sono gli addetti alle frontiere quelli che hanno la responsabilità di verificare che le persone che rientrano non abbiano soggiornato in Paesi ad elevato tasso di contagio. Le autorità sanitarie hanno opportunamente pensato di predisporre un ospedale da dedicare esclusivamente ai futuri pazienti. Hanno scelto uno complesso ospedaliero, l’Algerian Military Hospital situato a Khan Yunis, nella parte meridionale della Striscia di Gaza. Ma quando la loro decisione è stata resa pubblica, migliaia di residenti inferociti hanno marciato verso l’ospedale, bruciando pneumatici e urlando slogan. Tuttavia, con l'aiuto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, è stato costruito un complesso medico vicino a Rafah, al confine con l’Egitto. Questa struttura oggi è praticamente chiusa; viene utilizzata solo in caso di emergenze umanitarie. Si è giunti ad una situazione kafkiana: i leader di Hamas, che non perdono mai l'occasione di protestare contro il blocco israeliano, ora vorrebbero sigillare saldamente tutti i varchi di confine per evitare qualsiasi contagio sia da parte ebraica che dell'Autorità palestinese. Sì, ma ... cosa fare con tutti i lavoratori Gazawi frontalieri, che si recano tutti i giorni nei villaggi situati dall'altra parte del confine e tornano a casa la sera, e che con il loro salario sostengono i numerosi membri delle loro famiglie? Cosa fare poi con le centinaia di camion che ogni giorno attraversano il confine per rifornire Gaza? La sospensione delle importazioni dalla Cina ha già innescato un significativo aumento dei prezzi. I social network sono in preda al panico, la rabbia contro Hamas sta scoppiando e il Paese è sull'orlo di un'esplosione. Nel frattempo a Ramallah hanno capito: una straordinaria cooperazione sanitaria con Israele sta ora funzionando per combattere il pericolo comune. A Gaza riusciranno a capirlo in tempo?
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".