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Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebrica di Milano, febbraio 2020, a pag.7, con il titolo "Il pugno di ferro con gli ayatollah. Possibile che gli Stati Uniti conoscano la difficile arte della deterrenza molto meglio dell’Europa? A quanto pare sì", il commento di Angelo Pezzana.
Angelo Pezzana Benny Morris L’eliminazione del generale Suleimani, oltre ad aver privato il regime degli ayatollah del militare massimo responsabile della politica di espansione/invasione dell’Iran nella regione - che gli era valso la qualifica di ‘macellaio’- meritata anche per la violenta repressione di qualsiasi forma di dissenso popolare, ha costretto le nostre caute e ambigue democrazie occidentali a fare i conti con il vero Iran, quello che era uscito vincitore dopo l’accordo del 2015 voluto da Obama e dalla politica estera dell’Unione europea guidata da Federica Mogherini. Indimenticabili i loro sorrisi mentre firmavano la resa che avrebbe consentito all’Iran di entrare in possesso dell’arma nucleare. Il coro unanime europeo inneggiava incosciente, ci voleva un cambio di presidente Usa per smascherare il progetto degli ayatollah. Ma il gioco delle tre carte poteva continuare ancora, i media occidentali erano troppo occupati a criticare Donald Trump per accorgersi dell’ombra minacciosa che stava calando sul Medio Oriente sotto gli ordini di un generale che non aveva mai destato alcun interesse nei nostri ‘esperti’. Non era così per Washington, l’uscita dall’accordo non era sufficiente, l’Iran aveva continuato ad arricchire di uranio le proprie centrali, per cui entro breve tempo sarebbe entrato in possesso dell’arma nucleare. Altroche ‘decisione emotiva’, come è stata giudicata la decisione di Trump, l’eliminazione di Suleimani è stato il segnale della nuova politica americana per fermare la marcia dell’Iran finchè si è in tempo. Una politica strategica che aiuterà il coraggioso popolo iraniano a non tollerare più la dittatura degli ayatollah. L’abbattimento ‘per errore’ dell’aereo civile ucraino è la dimostrazione del caos nel quale si trova il regime, sottovalutato anch’esso dai media occidentali.
Qassem Soleimani con Ali Khamenei La scelta di Trump di decapitare un esercito nemico senza alcuna dichiarazione di guerra contiene un altro segnale positivo, a tutti quei movimenti terroristi che minacciano quotidianamente Israele, veri e propri eserciti, come Hezbollah, i cui 130.000 razzi recano la firma di Suleimani, così come gli apparati militari di Hamas a Gaza. Lo storico Benny Morris, che, da difensore d’ufficio delle tesi palestinesi perse la considerazione di cui godeva a sinistra, come mi raccontò quando nel 2000 lo intervistai, prima ancora che intervenisse sul Guardian, dopo che il bar ‘Moment’- dove faceva colazione tutte le mattine- saltò in aria per un attentato nel quale morirono tutti gli avventori. Doveva esserci anche lui, ma quel mattino era in ritardo. Da allora la destra lo critica ancora per quanto scrisse in passato, mentre la sinistra si ricorda di lui raramente. Curiosamente con l’eccezione di Haaretz, che nello scorso mese di agosto pubblicò una sua analisi su come Israele avrebbe dovuto dovrebbe comportarsi di fronte alle minacce di guerra dei propri confinanti e non. La cito, perché ha molti punti di contatto con la politica di Trump nei confronti dell’Iran, l’impero del male più grande. Israele – scrive Benny Morris- dovrebbe proclamare pubblicamente e con la massima diffusione a livello mondiale, che se l’Iran,anche soltanto attraverso i movimenti che controlla,dovesse decidere di attaccare una qualsiasi parte del territorio di Israele, la risposta che riceverà a distanza di pochi secondi colpirà le città di Teheran, Isfahan, Shiraz,Bushehr, Natanz, Qom e gli obiettivi nucleari strategici. Il mondo intero prenderà atto che la responsabilità sarà interamente nelle decisioni che gli ayatollah decideranno di prendere. Tralascio i particolari, anche se indispensabili soprattutto quelli che attengono alla difesa di Israele, rimandando alla lettura del testo integrale di Morris (Haaretz 18/8/2019). Con Trump ha funzionato, mentre tutti temevano una terza guerra mondiale – attribuendo a lui la responsabilità, il risultato gli ha invece dato ragione. Nessuna guerra in vista, nemmeno locale, con l’Iran che finalmente dovrà affrontare il dissenso interno. Il consiglio di Benny Morris può apparire paradossale, sicuramente lontano da ogni tradizione europea, ma Israele non confina con la Svizzera, per sopravvivere meglio ispirarsi a Washington che a Bruxelles.
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