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Brokken e Todorov, artisti di San Pietroburgo
Analisi di Diego Gabutti Jan Brokken, Bagliori a San Pietroburgo, Iperborea 2017, pp. 220, 17,00 euro, eBook 9,99 Secondo la profezia, pronunciata dai padri fondatori, la rivoluzione socialista, superando con un olè «i rapporti di produzione borghesi», avrebbe posto fine alla «preistoria» dell’umanità; e sarebbe cominciata la «storia», finalmente. Questo avevano detto Marx, Engels, Kautsky e gli altri marxisti ortodossi; e questo ribadirono i loro seguaci russi – marxisti nichilisti e dostoevskiani, marxisti indemoniati – che stavano alla tradizione del movimento socialista come i cubisti alla storia dell’arte. Ma la «preistoria» non finì. S’interruppe e basta. Ci fu un intervallo di settant’anni, un lungo surplace in cui non accadde nulla, a parte guerre e massacri e Gulag e corse agli armamenti. Quindi il meccanismo della storia, come una vecchia pendola coperta di polvere, si rimise in moto lentamente e rugginosamente.
Tzvetan Todorov, L’arte nella tempesta. L’avventura di poeti, scrittori e pittori nella rivoluzione russa, Garzanti 2017, pp. 224, 22,00 euro, eBook 13,99 euro Durante questo intervallo si consumò il destino degli artisti di San Pietroburgo. Fu un Novecento da incubo, per dirla con un debole eufemismo. Accadde qualcosa d’inimmaginabile: la completa glaciazione della storia russa, le cui componenti sociali, ridotte a carcasse, furono appese ai ganci della macelleria collettivista; e cominciò la caccia a poeti dissidenti, scrittori e musicisti disallineati, frequentatori di concerti e lettori di poesia, a chiunque cioè minacciasse di guastare la festa. Da questi orrori nacque, è vero, una grande poesia: la poesia d’Anna Achmatova e Marina Cvetaeva, di Osip Mandel’štam, di Boris Pasternak e Iosif Brodskij; dall’interminabile horror bolscevico nacquero anche le opere d’Aleksandr Solženicyn, le sinfonie di Šostakovič, il grande agitprop cinematografico di Sergej Ėjzenštejn. Ma fu a tutti gli effetti e senza sconti un horror. Gli artisti sparivano nei campi di lavoro, i loro fan club venivano perseguitati, le loro opere restavano inedite oppure passavano di bocca in bocca, o meglio d’orecchio in orecchio, sussurrate a bassa voce da pochi coraggiosi. Tzvetan Todorov, nel suo L’arte nella tempesta, spiega che gli artisti russi, in realtà, non furono semplicemente le vittime della rivoluzione. Furono essi stessi – almeno all’inizio – la rivoluzione: «Artisti e rivoluzionari si considerano demiurghi, dèi creatori. Insieme con questa maniera di rendere legittimo l’esercizio della tabula rasa, la distruzione dell’intero passato per costruire un avvenire radioso, le opere d’avanguardia rendono popolari le idee d’una forza incontrollabile della volontà, di capacità illimitate dell’uomo, dunque d’un ideale sovrumano, adatto al nuovo superuomo».
Gli artisti guardano nell’abisso, come nell’abusata metafora di Nietzsche, e l’abisso restituisce loro lo sguardo. Scomparso a settantesette anni, nel 2017, bulgaro emigrato in Occidente nel 1963, Tzvetan Todorov s’è occupato per tutta la vita di storia dell’arte, di culture totalitarie, di filosofia. Slavista e musicologo, giornalista, con un talento unico d’esploratore e vagabondo, il romanziere olandese Jan Brokken racconta la Russia zarista, quella della della rivoluzione bolscveica, infine quella stalinista e, all’interno di questa cornice, le tragiche routines degli artisti di San Pietroburgo visitando prima l’URSS e poi le sue rovine. Bagliori a San Pietroburgo (che viene dopo libri analoghi, da Anime baltiche al Giardino dei cosacchi, anch’essi tradotti da Iperborea, come abbiamo visto qualche giorno fa, parlando del suo ultimo libro, I giusti) è il racconto in prima persona dei lunghi, ripetuti pellegrinaggi di Brokken sulle tracce degli artisti russi. Un libro quasi perfetto, come «un verso ben riuscito». Di nuovo in movimento, rimane ancora da capire in quale direzione finirà per muoversi la storia russa, ma è difficile che accetti la lezione dei suoi scrittori, poeti e musicisti, che dopo gli anni scapestrati del modernismo predicarono prudenza e pietà, nonchè rispetto per il passato. Anche Putin rispetta il passato, ma quello recente, il passato imperiale e comunista, l’età beata del KGB, di cui fu Colonello e masterspy. Per uscire dalla preistoria novecentesca e rientrare definitivamente nella storia, la Russia dovrà fare come Brokken: seguire la pista di briciole di pane seminate da Mandel’štam, Achmatova, Brodskij, Solženicyn e Šostakovič. Cercare la strada di casa e smettere di sognare l’oro delle favole.
Diego Gabutti |
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