Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 11/03/2020, a pag.23, con il titolo "Il ragazzo ebreo che si salvò confondendosi tra i nazifascisti", il commento di Ariela Piattelli.
Ariela Piattelli
David Kertzer
Per l'apertura degli archivi vaticani su papa Pacelli sono arrivati accademici e storici da molti Paesi per studiare i documenti che potrebbero rivelare e aggiungere informazioni sulla storia del pontificato che fa discutere da decenni. Tra questi c'è David Kertzer, studioso e storico di fama mondiale, premio Pulitzer per Il patto col diavolo (tradotto per Rizzoli), in cui racconta la storia dei rapporti tra Pio XI e Mussolini; Kertzer è autore tra gli altri di Prigioniero del Papa Re (Bur; sarà la base di un film di Spielberg), sulla storia di Edgardo Mortara, il bambino ebreo battezzato, rapito e cresciuto da cattolico nell'800. Per Kertzer l'apertura dell'archivio su Pio XII «è una grande opportunità di conoscenza. Ma non si può riscrivere la storia».
Adolf Hitler, Pio XII
Quale è il significato dell'apertura degli archivi sul pontificato di Pio XII?
«Gli archivi ci danno la possibilità di conoscere meglio una storia europea, non soltanto ebraica o della Chiesa. La domanda generale è come nella civile Europa sia stato possibile uccidere milioni di persone. Forse con questa apertura capiremo meglio come si comportò la Chiesa, quali erano le dinamiche, e chi consigliava il Papa su questi temi. Spero che conosceremo la dinamica all'interno del Vaticano quando si doveva decidere se protestare sulle deportazioni degli ebrei romani il 16 ottobre '43, e cosa spinse papa Pacelli verso il silenzio pubblico. Il rischio è quello che si tenti di riscrivere la storia».
Che cosa intende?
«Adesso c'è la tendenza generale a presentare solo un aspetto della storia. E questa tendenza appartiene in particolare all'Italia: in questo Paese ci sono moltissimi istituti sulla Resistenza, non ce n'è neanche uno in cui si studia il fascismo, come se gli italiani fossero stati tutti dalla parte degli Alleati. Gli ebrei catturati dai nazisti lo furono in buona parte grazie all'aiuto degli italiani. Anche una parte della Chiesa vuole presentare una storia "diversa".
In questi giorni nell'archivio apostolico vaticano vedo storici del mondo cattolico molto seri e rigorosi, altri che difendono a spada tratta Pio XII e più in generale il ruolo della Chiesa durante il fascismo.
«Le prime "rivelazioni" all'indomani dell'apertura degli archivi hanno il sapore del sensazionalismo, mentre non possiamo prescindere dalla storia già scritta: Pio XII non ha mai protestato contro le leggi razziali, il suo predecessore era invece risentito, perché Hitler voleva creare una società pagana: lui percepì le leggi razziali come segno di avvicinamento alla Germania nazista, e parlò pubblicamente contro il razzismo, cosa che Pio XII non fece. Pio XI protestò contro le leggi che colpivano i matrimoni misti, e lo fece non per proteggere gli ebrei, ma quelli battezzati. Papa Pacelli cambiò strada, seppellì "l'enciclica mancata", quella in cui doveva esprimersi a favore degli ebrei contro il razzismo e contro l'antisemitismo, e non spese una parola pubblica sulle deportazioni, neanche sulla razzia degli ebrei romani».
Cosa avrebbe potuto fare Pio XII per osteggiare le deportazioni?
«La prima deportazione degli ebrei italiani avvenne nel ghetto di Roma, sotto le finestre del Vaticano. Papa Pacelli avrebbe potuto fare molto, minacciare Hitler di denunciare il nazismo, oppure fare un gesto come fece il 19 luglio del '43, quando Roma fu bombardata. Però lui non era quel tipo di leader, non era certo contento dell'omicidio di più di 1000 ebrei di Roma, ma non voleva rischiare di compromettersi».
Può raccontarci qualcosa dei documenti inediti che ha visionato in questi primi giorni di lavoro nell'archivio?
«C'è un documento molto interessante in cui l'arcivescovo di Bologna chiese a papa Pacelli nel '40 di benedire L'Avvenire d'Italia, il quotidiano cattolico più letto del Paese. Il Papa rifiutò con la motivazione di non voler dare la benedizione apostolica perché i giornali erano controllati dal regime, e non erano liberi. Sembrerebbe un aspetto positivo, ma a mio giudizio il Papa in realtà non voleva compromettersi. Lasciò libero il clero italiano di sostenere o meno la guerra. Il documento è importante perché sottolinea alcuni aspetti della personalità di Pio XII e i suoi comportamenti su questi temi».
Ovvero?
«Spesso si sostiene che papa Pacelli voleva essere neutrale per timore delle ritorsioni di Hitler sul mondo cattolico. Ma c'è un motivo più profondo: lui sapeva che milioni di cattolici erano nazisti, e temeva che criticando il nazismo avrebbe rischiato uno scisma all'interno della Chiesa. All'inizio della guerra si pensava che Hitler avrebbe vinto, e questo probabilmente ha mosso il Papa nella direzione di capire come proteggere il Vaticano. Poi quando è diventato chiaro che avrebbero vinto gli Alleati, nel '42, e ancora con la caduta di Mussolini, la Chiesa dovette riposizionarsi. Tutto questo è dimostrato nelle decine di migliaia di documenti che ho studiato in altri archivi e fonti, come la stampa vaticana dell'epoca, quella italiana, e la stampa cattolica nazionale ad esempio, oppure l'Archivio Centrale dello Stato, che conserva i rapporti delle spie di Mussolini, e vari archivi nel mondo, dove ci sono le corrispondenze degli ambasciatori presso la Santa Sede».
Quali sono i suoi timori, se ne ha, sullo studio degli archivi su Pio XII?
«Papa Pacelli era un uomo molto cauto, e non voleva mettere tutto per iscritto. Quindi alcune cose probabilmente non le sapremo mai».
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