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Fausto Coen - Una vita tante vite - Rubettino, pg 183, euro 10 Recensione da La Repubblica del 28-07-04 Con l´aria di chi si trova lì quasi per caso, in punta di piedi, per non peccare mai di pedanteria, di drammaticità e, anzi, trovando spesso una nota di leggera ironia, Fausto Coen, giunto ai novanta anni, cavalca il suo Novecento e lo racconta in Una vita tante vite (Rubettino, pagg.183, euro 10) dipanato tra mille aneddoti e scandito in una lingua scorrevole come un pomeriggio di primavera. Eppure per il giornalista che ha inventato la fortunata formula degli anni d´oro di Paese Sera e che lo diresse per più di venti anni, il Novecento non è stato affatto un secolo piatto, semplice. Ebreo, figlio di una famiglia di borghesia commerciale mantovana di impronta decisamente laica gettata sul lastrico dalla crisi di Wall Street del ´29, si ritrova a dover smettere di studiare, a fare il barista, il fattorino, il dattilografo per aiutare la famiglia, a studiare poi comunque la notte per laurearsi in giurisprudenza all´università di Bologna. Siamo nel ´38, pochi giorni prima delle leggi razziali, giusto in tempo per non farsene niente della laurea e ricominciare ad arrangiarsi, questa volta a Milano, impiegato, tra camere ammobiliate approssimative e nostalgia di casa. Non vi immaginate toni sconsolati e senso di sconfitta: l´abbiamo detto, perfino mentre è sottoposto al lavoro coatto, Coen, che consulta per raccontare i suoi 60 taccuini di diari, trova sempre il verso di guardare una bella ragazza, di ridere dell´affittacamere che parla con le galline, del capoufficio che se la fa con le lavoranti scegliendole in base all´ordine alfabetico. E´ quando arriva l´8 settembre che i tempi si fanno più duri. La famiglia - lui, la madre, il fratello Angelo - convinta che la presenza del papa garantisca maggiore sicurezza, si trasferisce a Roma, dormendo di qua e di là, rifugiandosi chi in un convento, chi, come Fausto, nello stanzino di una farmacia di qualche parente e sfamarsi con il latte in polvere scaduto, o come Angelo, in una camera in affitto e senza documenti falsi, per orgoglio. Tutti impauriti, straniti, in tre posti diversi della città mentre sentono della razzia nel ghetto e della deportazione dei 1022 ebrei, senza sapere che fare e concentrati, magari, sul fatto di essere senza cappotto e con le scarpe «molto provate», invece che sui grandi e terribili disegni della storia. Infine, la liberazione, il primo soldato alleato visto per strada, con quegli stivali così solidi! Ecco, Coen sta per diventare un grande giornalista, ma prima fa il commerciante di un improbabile ricostituente, la Panfusina, e di codeina. Poi arriva il primo lavoro all´Indipendente di Giuseppe Longo, i primi piccoli scoop, le prime prove di bravura che Coen stesso vive con meraviglia, Momento Sera... Nel gennaio del 1948 nasce Il Paese di Tomaso Smith: Fausto è redattore capo di 16 giornalisti, senza corrispondenti all´estero, né inviati, né telescriventi. Nonostante le miserevoli risorse, lo spirito antifascista del quotidiano ha successo, e il giornale raddoppia con una edizione pomeridiana, Paese Sera. Qui, nominato subito vicedirettore, il tono di Fausto Coen cambia: l´emozione si fa più forte, pari forse solo ai momenti in cui racconterà dell´incontro con l´amata moglie Vittoria e la nascita delle figlie. Anche se la testata nasce con i finanziamenti del Pci, Coen si rifiuta di prendere la tessera, si sente libero, incapace di sottoporsi a una norma: si sente dalla parte degli sfruttati e questo gli basta, anzi, da questo punto di vista è illuminante, per capire l´ottica di allora, un suo viaggio in Unione Sovietica, dove tutto gli appare fantastico ed entusiasmante e il gulag è lontanissimo, anzi, non c´è. Coen costruisce Paese Sera come un giornale davvero nuovo: la cultura va anche in prima pagina, si usa una scrittura elegante ma diretta, grandi racconti di cronaca, i processi vengono stenografati e pubblicati per intero in modo che il pubblico possa partecipare, le rettifiche messe in primo piano, e poi ci sono le firme importanti o che stanno per diventare tali, intellettuali come Natalino Sapegno, Norberto Bobbio, Luigi Russo, Eugenio Garin, Massimo Mila Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini, Tullio De Mauro, Roberto Rossellini... oppure appaiono gli scrittori messi con un colpo di genio a fare i cronisti, come Gianni Rodari. Coen ci sputa l´anima, ci passa le giornate, anche se, a volte, il gioco si fa duro, come durante la crisi del ´56, durante l´invasione sovietica dell´Ungheria, quando una parte della redazione se ne va, compreso il direttore Smith, ma lui rimane per non abbandonare la sua creatura - e non per convinzione politica -, e pubblica comunque integralmente il «rapporto Krusciov» sui crimini dello stalinismo, un gesto che a molti nel Pci non piace. Il compromesso sarà impossibile invece nel ´67, con la Guerra dei Sei Giorni, quando il partito editore gli chiede di assumere una linea filoaraba e lui invece naturalmente non può, perché sente, vede in Israele la terra del popolo ebraico aggredita anche se fortunatamente vincitrice. Dentro il giornale c´è chi protesta, Alberto Jacoviello va in tipografia e butta per terra il piombo della prima pagina: Coen, poco più che cinquantenne, dà le dimissioni, anche se la proprietà, dopo aver insistito perché rimanga, gli chiede di mantenere una carica di facciata, direttore editoriale. Coen si pente ancora adesso di avere accettato la proposta, di aver confuso «etica, morale, stile di vita con la dura realtà della politica... Rompere era l´unica cosa sensata da fare» . L´avventura non finisce qui. Fausto Coen ha fatto delle belle trasmissioni televisive, ha scritto dei bei libri tra cui una storia di Israele ed un´altra del sionismo ed una dell´affaire Dreyfus che hanno ancora da insegnare parecchio. Ha vissuto, appunto, tante vite. Susanna Nirenstein |
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