Marx & Engels come non li avete mai immaginati
Commento di Diego Gabutti, con l’aiuto di Hans Magnus Enzensberger
Hans Magnus Enzensberger, Colloqui con Marx ed Engels. Testimonianze sulla vita di Marx e Engels, Feltrinelli 2019, pp. 632, 16,00 euro
Come Stanlio e Ollio, come Yoghi e Bubu, anche Karl Marx e Friedrich Engels (meglio noti come «Marx-Engels» sul frontespizio delle Opere complete) sono una coppia d’inseparabili, anche se non d’indistinguibili. Marx se la tira da scienziato sociale, senza esserlo, mentre il suo socio trascorre l’intera vita come imprenditore e capitalista a Manchester, sia pure con un’identità segreta (come Bruce Wayne, il multimiliardario che di notte si veste da pipistrello e va a caccia di criminali psicopatici sui tetti di Gotham City, Engels si trasforma in un supereroe socialista, autore di pamphlet incendiari e nemico dell’ordine costituito, ogni volta che lascia l’ufficio o parcheggia il cavallo dopo una battuta di caccia alla volpe).
Marx, sposato a un’aristocratica, padre affettuoso d’una famiglia numerosa, è povero in canna e vive assediato dai creditori mentre intorno gli si accumulano sfratti, sequestri e tragedie d’ogni genere (alcune terribili, come la morte di due figli piccoli). Prima a Manchester, dove dirige l’azienda paterna, poi a Londra, dove va a vivere da pensionato di lusso, Engels abita in case lussuose. Alto e magro, l’aria d’un ufficiale a riposo, veste con eleganza, corteggia le signore e ama il buon vino. Marx, che lui sostiene economicamente e che negli ultimi tempi abita poco lontano da lui, è altrettanto snob ma meno chic. «In tutta la sua casa londinese», mette a verbale un informatore della polizia nel 1852, «non si trova un mobile pulito e in buono stato; tutto è rovinato, logoro, a pezzi, tutto è ricoperto da uno strato di polvere spesso un dito. In mezzo al salotto si trova un grande tavolo d’età veneranda, ricoperto da uno spesso strato di cera. Su di esso s’ammucchiano i manoscritti, i libri e i giornali di Marx, i giocattoli dei bambini, i lavori di rammendo della moglie, cucchiai sporchi, coltelli, forchette, tazze di tè dagli orli sbrecciati, candelieri e calamai, bicchieri sbeccati, pipe di terracotta olandesi, cenere di tabacco, tutto gettato alla rinfusa su quell’unico tavolo».
Engels e Marx si distinguono per censo, ma sono entrambi rivoluzionari compulsivi e si somigliano nei propositi politici, o meglio escatologici. Vogliono, cioè, che si compia la loro profezia apocalittica: che il capitalismo tracolli e che il comunismo trionfi nella Notte di Valpurga della rivoluzione sociale. Ma quel che più conta, sono entrambi dei bohémiens (benché entrambi, in particolare Marx, detestino i bohémiens sopra ogni cosa, persino più dei borghesi, a cui entrambi non possono tuttavia che somigliare, bennati come sono, nelle maniere, nello stile di vita, nel perbenismo). Mezzi artisti, mezzi cospiratori, i bohémiens sono la faccia dispari del milieu rivoluzionario: inaffidabili, sudicioni, sgavazzatori, parolai. Eppure, sono anche il materiale umano con cui si fanno le rivoluzioni nel secolo dei quarantotti, del passaggio dal vapore all’elettricità, di Baudelaire e di Rimbaud, delle comuni parigine. Anche loro due, del resto, sono mezzi artisti, grandi alzatori di gomito, visionari, non sempre affidabili e (almeno Marx) decisamente poco attenti all’igiene. Sanno (o meglio credono di sapere, perché in fondo mica è detto) che le rivoluzioni non sono opera di cospiratori intabarrati che pianificano colpi di mano nei pub londinesi o nei bistrò parigini. Pensano, dall’alto delle loro fantasie utopistiche, che le rivoluzioni arrivino per ondate successive, sempre più alte e ruggenti, e che siano inevitabili, come il passaggio da un’era geologica all’altra. Alla testa delle rivoluzioni potranno anche esserci dei cospiratori, dei bohémiens e dei poeti, meglio se politicamente sobri come gli strettissimi seguaci di Marx ed Engels, ma a battersi sulle barricate, come pure a godere i frutti del nuovo ordine sociale, sarà il proletariato: la classe che Marx ed Engels – due bohémiens d’alta classe, ma anche due borghesi fatti e finiti, e non di meno due entusiasti della classe operaia – hanno destinato d’autorità, con la loro opera politica e letteraria, a ereditare il mondo. Nel milieu socialista hanno amici e nemici, ma soprattutto nemici, di gran lunga più onorevoli, com’è noto, degli amici. Sono un partito a due, come racconta Hans Magnus Enzensberger in una delle più straordinarie biografie mai scritte. Modellato sui Colloqui con Goethe del Barone von Biedermann, usciti in dieci volumi dal 1889 al 1896, Colloqui con Marx ed Engels è composto di sole citazioni e testimonianze di contemporanei. Abbondano i nemici, come si diceva, a cominciare da Michail Bakunin, padre dell’anarchia e dell’antisemitismo di sinistra.
«Ebreo egli stesso», scrive Bakunin, «Marx è sempre circondato da una moltitudine di piccoli ebrei più o meno abili, intriganti, versatili e speculatori, come sempre sono gli ebrei: agenti di banca o di commercio, letterati, politici, corrispondenti di giornali di tutte le sfumature, in una parola, sensali della letteratura e della finanza, con un piede nella banca, l’altro nel movimento socialista e il didietro saldamente piantato sulla letteratura tedesca d’attualità (si sono impadroniti di tutti i giornali). Tutto questo mondo giudaico – una setta di sfruttatori, una razza di sanguisughe, un unico parassita vorace, che travalica non soltanto i confini degli stati ma ogni differenza d’opinione politica – è oggi strettamente e intimamente legato, per la maggior parte, da un lato a Marx e dall’altro ai Rothschild. Ciò può sembrare strano. Che cosa può esserci di comune tra il comunismo e la grande banca? Ma il comunismo di Marx propugna uno stato potente e centralizzato; dove esiste uno stato simile, oggi non può mancare una banca centrale di stato, e dove esiste una tale banca, la nazione parassita dei giudei, che specula sul lavoro del popolo, troverà sempre da mangiare». Questi i nemici. Altrettanto improbabili gli amici e gli ammiratori, tra cui la Regina Vittoria. «L’ultima volta che ebbi l’onore d’incontrare Vostra Altezza Imperiale» – scrive Sir Mountstuart Elphinstone Grant-Duff a Sua maestà – «manifestaste una certa curiosità a proposito di Karl Marx, e mi domandaste se lo conoscevo. Perciò decisi d’approfittare della prima occasione per fare la sua conoscenza. L’occasione si è presentata ieri: sono andato a pranzo da lui e ho passato tre ore in sua compagnia. Nel corso della conversazione Marx parlò più volte di Vostra Altezza Imperiale e del principe ereditario, e sempre con il rispetto e il decoro che si conviene. Ma anche quando il discorso cadde su eminenti personaggi dei quali egli non parlava affatto con rispetto, nelle sue parole non c’era traccia d’ira o di violenza; la sua critica era molto profonda e sferzante, ma senza toni alla Marat. Quanto alle cose orribili che vengono attribuite all’Internazionale, Marx si espresse come avrebbe fatto ogni uomo per bene». Tempo dopo, la Regina apre con 10 sterline «la sottoscrizione a favore della vedova d’un comunardo», come «si legge sul programma della serata» (così Eduard Bernstein, futuro pezzo grosso della socialdemocrazia tedesca). Signori, l’Ottocento: un secolo di signori.
Diego Gabutti