Croce rossa di vergogna: la Shoah ignorata Recensione di Andrea Cavalletti
Testata: Il Venerdì di Repubblica Data: 06 marzo 2020 Pagina: 86 Autore: Andrea Cavalletti Titolo: «Il 'babbeo' che non vide il Lager»
Riprendiamo dal VENERDI' di REPUBBLICA di oggi, 06/03/2020, a pag. 86, con il titolo "Il 'babbeo' che non vide il Lager" il commento di Andrea Cavalletti.
NEL MAGGIO del 1944, dopo due anni di rifiuti, la Croce Rossa internazionale fu finalmente autorizzata a ispezionare il ghetto di Theresienstadt. Il capo della delegazione era però impegnato a Ginevra e l'incarico toccò al suo subalterno, Maurice Rossel: fu lui a informarsi dalle SS, a scambiare qualche parola con gli internati, a scattare molte foto e a redigere un memoriale. Rossel era giunto a Berlino nel '42, evitando un noioso destino da ufficiale delle truppe elvetiche di frontiera. «Avevo venticinque anni, ero ancora un ingenuo... un babbeo uscito dal suo villaggio, che aveva studiato a Ginevra, e non conosceva nulla» dirà nel 1979 davanti alla cinepresa di Claude Lanzmann (l'autore del celebre documentario Shoah, 1985); e poi, nel '97, autorizzando la trasmissione dell'intervista (col titolo Un vivant qui passe), aggiungerà: «Ormai non ricordo molto dell'uomo che ero allora... Sia caritatevole, non mi faccia apparire troppo ridicolo». Che cosa disse il ridicolo Rossel dell'ingenuo che era stato? Fra l'altro, che aveva scritto un rapporto onesto, impossibile da rinnegare e ancora valido. In effetti, a Theresienstad egli aveva assistito, riuscendo sostanzialmente a credervi, alla farsa di una cittadina modello apprestata dai nazisti con mesi di prove, scenografie e attori costretti a recitare, sotto lo sguardo vigile dei loro registi-aguzzini, persino davanti alla finzione atroce e beffarda di un padiglione per neonati. L'allestimento propagandistico divenne allora verità storica documentata dalla Croce Rossa e sfruttata dal Ministero degli Esteri tedesco, e il terribile luogo di transito verso Auschwitz oTreblinka poté apparire una sistemazione definitiva, persino non troppo infelice, degli ebrei perseguitati. Le fotografie attestavano la testimonianza oculare di un delegato pieno di pregiudizi antisemiti, che era già stato capace di farsi ingannare ad Auschwitz: la perfetta coincidenza del punto di vista del babbeo con quello del cosiddetto "obiettivo" negava il reale lasciando fuori campo l'artificioso. Nel 2005 avrà ragione l'anziano Lanzmann a scagliarsi contro l'idolo odierno dell'immagine come attestato di verità. La trascrizione di Un vivo che passa, suggerisce Federica Sossi che ha curato questa nuova edizione per Cronopio, ci parla anche di questo: delle immagini delle nostre vittime, edulcorate malgrado tutto, proficuamente ingannevoli, paradossali produttrici del non visto.
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