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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Philip Roth - Chiacchiere di bottega
PHILIP ROTH

"CHIACCHIERE DI BOTTEGA"

EINAUDI, 158 PAGINE, 9 EURO



Recensione da Il Foglio del 16 giugno 2004:



Queste interviste e recensioni di Philip Roth sono adamantine e

irriducibili, degli sguardi affascinanti secondo il New York Times. C'è

Philip Guston con il suo "paesaggio americano del terrore", le "fastidiose

dipendenze e tristi rinunce rappresentate da bottiglie di whisky e mozziconi

di sigaretta". C'è quell'"incantatore folcloristico e argutamente laconico"

di Aharon Appelfield, "mago buono dislocato, deportato e spossessato", con

un "inesorabile attrazione per tutte le anime sradicate", che racconta a

Roth di un paese febbrile, Israele, dove tutto è brusío e brulichío e gli

spiega l'abilità degli ebrei nell'interiorizzare ogni critica e condanna.

Con Isaac Singer, Roth parla di Bruno Schulz, nevrotico terribilmente

modesto che "pativa di tutte le inibizioni di cui può patire uno scrittore".

Singer gli confida che "leggendolo dicevo che era meglio di Kafka", altro

modesto che andava al lavoro in bombetta e con il colletto inamidato. Singer

ricorda il suo arrivo negli Stati Uniti: "C'era una riunione dell'Hadassah e

io ci andai convinto di sentir parlare yiddish". Al suo posto, un gruppo di

donne che ripeteva "delicious, delicious, delicious". L'intervista con Milan

Kundera, meno melodico, similpoetico e zuccherino del solito, è all'insegna

di un riso mortale come quello che conclude "Così fan tutte". Kundera

confida di aver "scoperto il valore dell'umorismo nel periodo del terrore

stalinista con il suo delirio lirico collettivo. Il mondo totalitario,

fondato su Marx o sull'islam, è un mondo di risposte, la rumorosa

imbecillità delle certezze umane". Poi il breve carteggio con Mary McCarthy,

che domanda a Roth cosa sia "tutto questo entusiasmo per il rendere ebreo un

bambino segnandolo con un coltello?". Al che Roth risponde: "Resto ancora

ipnotizzato dagli uomini non circoncisi quando li vedo nello spogliatoio

della piscina". Roth ricorda gli anni in cui non era facile vivere a New

York, "sottrarmi alla mia improvvisa fama di depravato sessuale" che gli

aveva dato il Lamento di Portnoy. "All'inizio della primavera del 1969 mi

ritirai in quella piccola casa in affitto celata in una radura su un

declivio collinare un paio di chilometri dalla strade principale di

Woodstock. Vivevo lì con una giovane donna che stava finendo il suo Ph.D. e

che da alcuni anni aveva preso in affitto una minuscola baita, riscaldata da

una stufa a legna. Durante il giorno scrivevo a un tavolino nella camera da

letto vuota al piano di sopra, mentre lei se ne andava nella baita a

lavorare alla sua tesi". Concludono la raccolta un superbo ritratto di Saul

Bellow con la sua "gioiosa versione dell'Ecclesiaste", "chicaghese

addolorato, Colombo per quelli come me". Il suo Herzog è per Roth il Leopold

Bloom della letteratura americana. Si passa a Bernard Malamud, per i suoi

sepolti vivi paragonato al Malone di Beckett che barcolla nella nullità. La

grande capacità di Malamud è quella di far "danzare sulle sue tristi note"

un "cumulo di verbali ossa rotte", inutilizzabili se non da un comico

yiddish o da un "professionista della nostalgia", che poi è la stessa cosa.

Per Malamud "due barzellette in venticinque anni erano abbastanza". Dove gli

altri bruciano ossigeno, i personaggi di Roth contraddizioni. "Dovrei

scrivere di ladri e prostitute spagnole? Scrivo dei ladri e delle prostitute

che conosco", gli dice Singer, il cui umorismo freddo e acrobazie ricordano

Buster Keaton.

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