Israele domani al voto Commento Fiammetta Martegani
Testata: Avvenire Data: 01 marzo 2020 Pagina: 23 Autore: Fiammetta Martegani Titolo: «In Israele lo stallo va alle urne»
Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 01/03/2020, a pag.23 con il titolo "In Israele lo stallo va alle urne", il commento di Fiammetta Martegani.
Fiammetta Martegani
Benny Gantz, Benjamin Netanyahu
Domani Israele torna a votare per la terza volta in meno di un anno. Stando ai sondaggi degli ultimi giorni, si rischia, come nelle scorse due tornate del 2019, un finale in pareggio (con 34/35 seggi a testa) trai due partiti principali: il Likud del premier uscente Benjamin Netanyahu, e il partito centrista Blu Bianco guidato da Benny Gantz. Con questi numeri, per entrambe le liste è impossibile mettere insieme una coalizione governativa (61 seggi sui 120 della Knesset) e sono molti a temere l'eventualità di una quarta tornata elettorale. Le possibilità che gli equilibri elettorali possano cambiare, indicando una direzione che porri il Paese fuori dallo stallo, sono appese a tre variabili. Prima di tutto, i tre processi (per corruzione, frode ed abuso di ufficio) che attendono il primo ministro in un'aula di tribunale il 17 marzo. Si tratta di un forte elemento di instabilità: oltre a scoraggiare alcuni indecisi che avrebbero, forse, provato a votare ancora una volta per l'attuale premier, l'incertezza sul futuro di Netanyahu potrebbe anche spingere - e qui siamo alla seconda variabile -Avigdor Lieberman, leader del partito Yisrael Beiteinu ed eterno "kingmaker" della saga elettorale israeliana, a scegliere lo schieramento di Gantz. I segnali ci sono: in questi ultimi giorni il leader della diaspora russa ha parlato (più volte) del premier come di un «uomo finito», con zero possibilità di continuare la sua carriera politica. Ma per far cadere "Bibi" Netanyahu non bastano le parole: servono i numeri. E visto che la matematica (stando ai sondaggi) non permette a un'eventuale coalizione tra Gantz, Lieberman e la lista unita dei tre partiti di centro-sinistra (laburisti, Meretz e Gesher) di raccogliere i famigerati 61 seggi, ecco che subentra una terza variabile fondamentale: il voto degli arabi. Il loro partito, la Lista araba unita, nella scorsa tornata ha raggiunto il picco storico di 13 seggi. E, stando agli attuali sondaggi, adesso potrebbero anche aumentare. Pur non volendo far parte del governo, con cui non si identifica a causa della matrice sionista che caratterizza tutte le altre liste (le quali, perla stessa ragione, non condividerebbero mai la guida del Paese con questi ultimi), la Lista Araba vede in questo voto una possibilità unica per far sentire la propria voce, e potrebbe decidere di sostenere, pur dai banchi dell'opposizione, una coalizione "anti-Netanyahu". Un appoggio esterno che potrebbe rivelarsi decisivo. Lo stesso Netanyahu, che sta mettendo in campo ogni sforzo per rimanere al potere -e far passare la legge sull'immunitá parlamentare di cui ha bisogno per tutelarsi dai problemi giudiziari- ha puntato tutto, in questa tornata elettorale, sulla politica estera e sul «Piano di pace del secolo» proposto dal presidente statunitense Donald Trump. Secondo Moshe Maoz, docente di Studi mediorientali presso la Hebrew university di Gerusalemme, è un progetto «totalmente a vantaggio degli israeliani, senza alcuna apertura nei confronti del popolo palestinese e, per tanto, impossibile da mettere in pratica, soprattutto senza l'appoggio della Giordania, alleato fondamentale, a cui Israele non può rinunciare». Stando alla collega Dikla Cohen, che insegna Affari palestinesi nella stessa Università, «pur implicando considerevoli sacrifici da entrambe i popoli, è una delle migliori proposte fatte, per uscire dall'impasse dello status quo e offrire ai palestinesi uno Stato vero e proprio». Insomma, un piano che divide nettamente gli esperti. Come il Paese che sta andando alle urne.
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