In Siria i nodi vengono al pettine
Analisi di Antonio Donno
Il sultano Erdogan
Era inevitabile che il conflitto di interessi di Turchia, Russia e Iran in Siria dovesse, prima o poi, degenerare in un conflitto. La regione di Idlib, al confine settentrionale della Siria, era il punto nevralgico dove i ribelli siriani erano concentrati per combattere le forze del dittatore Assad. Per anni, Turchia, Russia e Iran si sono affannati a dar man forte ad Assad per sconfiggere i ribelli siriani che miravano a rovesciare il regime di Damasco. I loro interessi miravano a conquistare spazi politici e territoriali in Siria come contraccambio per aver difeso il regime di Assad dai suoi contestatori interni. Ma era evidente che queste mire dovessero alla fine scontrarsi con la realtà di un regime che non intendeva perdere alcuna parte del proprio territorio. Lo scontro tra dittature era, dunque, inevitabile. Ogni regime del terzetto intendeva espandere la propria egemonia nel Medio Oriente e il passaggio siriano era un’opportunità da non lasciarsi sfuggire. Era uno scontro tra obiettivi di carattere imperialistico. Il regime iraniano non aveva mai nascosto il proprio progetto di ridare vita all’impero persiano di alcuni secoli fa; la Russia di Putin era stata meno esplicita, ma non nascondeva l’ambizione di estendere il proprio dominio, diretto o indiretto, nel Medio Oriente che si affaccia sul Mediterraneo, recuperando le aspirazioni dell’Impero zarista; infine, Erdogan, per non essere da meno, aveva esplicitamente dichiarato che le ambizioni del proprio paese puntavano alla rinascita dell’Impero Ottomano a guida turca: le recenti affermazioni del dittatore di Ankara e l’intervento militare turco in Libia ne sono la conferma. La Siria di Assad era il passepartout per cominciare a dare corpo a queste ambizioni imperialistiche. Così, l’affannosa corsa a sostenere Assad prima che i ribelli lo rovesciassero non poteva che portare all’emergere di contraddizioni nel terzetto. Ed è stato proprio Assad a mettere in moto il meccanismo conflittuale tra i tre suoi “salvatori”. Il dittatore siriano è ora sostanzialmente libero di esercitare nuovamente il proprio potere in Siria, perché i ribelli anti-Assad hanno definitivamente perso la partita grazie all’intervento del terzetto. Ma Assad non intende ricambiare il favore cedendo parte del proprio territorio, cioè una parte del proprio potere. E la fascia settentrionale della Siria, comprendente la città di Idlib, ora occupata dalle truppe di Erdogan, non può restare in mano turca. Nello stesso tempo, né Putin né il regime di Teheran intendono lasciare mano libera ad Ankara. Da qui la reazione di Putin alla risposta sanguinosa di Erdogan all’attacco di Assad alle truppe turche, schierandosi a favore del siriano. Il confronto tra i tre progetti egemonici nel Medio Oriente si scontra, a sua volta, con la volontà di Assad di non cedere neppure un palmo del suo potere a Erdogan, ricevendo l’appoggio di Putin, che non tollera che Ankara si stabilizzi nella fascia settentrionale della Siria. Tuttavia, Erdogan gioca su due tavoli: quello mediorientale e quello europeo, quest’ultimo connesso all’appartenenza della Turchia alla Nato. Ora il dittatore turco ricatta l’Unione Europea, minacciando di lasciare libero il passaggio a centinaia di migliaia di profughi siriani che si riverserebbero nel Mediterraneo e, di conseguenza, nei paesi europei. La Turchia vuole che l’Unione europea si muova a suo favore, ma l’assenza totale dell’Unione dallo scenario siriano concede ad Ankara una seconda possibilità di aprire i suoi confini e inondare i paesi europei di una massa enorme di profughi. Da parte sua, Teheran tace, invischiata probabilmente in una crisi politica derivata dal colpo inferto da Trump alle sue ambizioni nella regione, oltre che dalla grande crisi sanitaria dovuta alla diffusione massiccia del coronavirus. La scena mediorientale, dunque, si complica, questa volta a causa dello scontro di interessi politici e strategici fra le tre dittature coinvolte nella crisi siriana. Un esito da molti punti di vista scontato, perché era impensabile che il loro contemporaneo coinvolgimento nella faccenda siriana potesse fruttare benefici e vantaggi per uno dei tre a scapito degli altri due. I nodi vengono al pettine, anche se è difficile prevedere gli esiti tutti interni ad un confronto tra finti alleati, con l’aggiunta di un dittatore siriano che non intende mollare alcuna parte del suo potere.
Antonio Donno
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