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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Stefano Dambruoso con Guido Olimpio - Milano-Bagdad
Stefano Dambruoso (con Guido Olimpio) "Milano-Bagdad, diario di un magistrato in prima linea nella lotta al terrorismo islamico in Italia", Mondadori.



"Notti insonni e punizioni esemplari, così Al Qaeda addestra i suoi eroi" (Corriere della Sera 04-06-04)



« Milano- Bagdad, diario di un magistrato in prima linea nella lotta al terrorismo islamico in Italia » . Il libro, edito da Mondadori, è stato scritto da Stefano Dambruoso, che per anni ha guidato delicate indagini sull’eversione, e dal giornalista del Corriere Guido Olimpio. Anticipiamo un brano del libro che uscirà l’ 8 giugno.

La vita nei campi d'addestramento è grama. Poche ore di sonno, preghiere ed esercitazioni estenuanti. Si spara con tutto. Kalashnikov, pistole, lanciagranate, lanciamissili antiaereo. Si apprende come preparare un ordigno usando materiale reperibile in commercio, si studia come uccidere una persona ' in silenzio', con le mani o uno stiletto. Il rancio è pessimo, le camerate sono delle stamberghe.

In molti vivono nelle tende, erette attorno a una struttura fatta con mattoni a secco. È la sala dell'assemblea. Si trovano qui a pregare, ad ascoltare i discorsi di indottrinamento, a vedere qualche videocassetta di propaganda. Nei campi c'è chi crolla e chiede di potersene tornare a casa. Gli europei, abituati alle comodità, patiscono più degli altri. Gli egiziani, che compongono la gerarchia alta di Al Qaeda, tartassano gli altri nordafricani. Li mettono sempre di guardia, li fanno sgobbare.

Ma la maggior parte stringe i denti. Non si piega neppure davanti alle punizioni che vengono inferte. Se commetti un errore — ci ha raccontato un pentito — vieni costretto a fare di corsa una salita, sulla schiena un contenitore pieno d'acqua. Altrimenti devi correre sulla sabbia ardente. Se la colpa è grave ti appendono per le braccia a una trave e poi giù vergate con tubi di gomma. In teoria il dolore non dovrebbe spaventare chi offre la vita per fare l'attentatore suicida.

Non è così. Finché non arrivi a quel momento, dove agisci come un robot, senti la frustata sulla pelle, patisci la fatica.

Chiedo a Trabelsi quale fosse il suo compito nel campo. Risponde quasi scherzando: ' Ero un calciatore, no? Allora organizzavo partite di pallone'. Non posso fare a meno di immaginare ventidue aspiranti kamikaze rincorrere la palla in una radura in mezzo alle gole afgane. Verrebbe da sorridere se non fosse che davanti hai un apparato con una struttura scientificamente organizzata.

È ancora Shadi Abdallah a confermarci il rigore dell' organizzazione nel preparare gli attentati. Ne parla con cognizione di causa, rammenta il suo passato in Afghanistan dove ha visto muovere « i primi passi » di Al Zarkawi, il giordano che impartisce gli ordini alla cellula italiana.

Shadi ha ricostruito il meccanismo che c'è dietro un attacco. Una dozzina di uomini, una macchina fotografica digitale e un computer.

« In primo luogo i

Nel libro si racconta dei kamikaze partiti dall’Italia e poi morti in Iraq

vertici, in Afghanistan ( o in un altro Stato) contattano i loro corrispondenti, per esempio, in Germania e concorderanno l'obiettivo dell'attacco — afferma il pentito — . I referenti in Germania daranno l'incarico, al massimo a tre persone, di raccogliere informazioni sull'obiettivo e dintorni » . È la ricognizione durante la quale i terroristi scattano foto o fanno riprese, esaminano con attenzione il territorio, valutano ogni possibile rischio... Chiusa questa fase, che può durare anche mesi, gli esploratori trasmettono ogni dato a un responsabile locale, l'emiro. Il capocellula e il suo vice analizzano « il rapporto » . In alcuni casi possono inviare le immagini dei possibili obiettivi ai loro superiori all'estero, una sorta di catalogo di bersagli. Utilizzano le email per spedire foto digitali e videocassette di cartoni animati all'interno delle quali sono infilati gli « spezzoni » filmati. Saranno poi i referenti del gruppo a decidere cosa colpire. Nella procedura più veloce la scelta spetta all'emiro locale. Stabilita la fattibilità del piano, si passa alla fase due. « Ancora una volta verranno incaricate al massimo tre persone che dovranno occuparsi dei preparativi effettivi » sostiene Shadi. « Tali persone dovranno valutare anche i costi che ne deriveranno e i materiali da procurare: esplosivo, auto » . Nuova relazione all'emiro. « A questo punto, se i vertici saranno d'accordo con quanto fatto finora, incaricheranno altre tre persone affinché provvedano ad altri preparativi: come la messa a punto della bomba, l'uso di un furgone o di un aeroplano o di altro » . Deciso il mezzo, occorre pensare agli uomini. Il capo della cellula designerà « la persona o le persone che dovranno eseguire l'attentato vero e proprio, definendo la data e l'ora » . Tutto deve avvenire nella più ferrea compartimentazione e a tal fine i terroristi tendono a usare i parenti più stretti. In passato le formazioni estremiste dovevano aspettare l'arrivo dall' estero dei « militari » , ossia degli uomini capaci di mettere insieme i pezzi di una bomba. Oggi, grazie alle esperienze nei rifugi dell'Afghanistan, l'artificiere si trova già sul posto. Per il pentito un gruppo di fuoco può essere formato da nove membri per la logistica, un paio di esecutori, l'emiro e il suo braccio destro. Poco più di una dozzina di terroristi... Al Qaeda forma il suo esercito senza gradi e senza unità attingendo risorse in tre serbatoi.

Il primo è quello di tunisini, algerini, marocchini, egiziani, yemeniti appartenenti a formazioni estremiste regionali ( Gia, Jihad, Jamaa...). Sono ideologicamente ben preparati, credono nella violenza come strumento politico. Hanno provato a sfondare sul fronte locale — Egitto, Algeria — ma la repressione dei loro regimi è stata spietata. Allora riordinano idee e progetti in Afghanistan, poi tornano all' offensiva contro un avversario più universale.


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