Recensione da La Repubblica del primo giugno '04 di Susanna Nirenstein: "Terroristi, un'antica famiglia"
Terrore e liberalismo l´ultimo libro di Paul Berman, uno dei più noti analisti della sinistra americana, giornalista dell´autorevole Dissent, collaboratore del The New York Times Magazine, The New York Times Book Review, The New York Republic, è una sfida, o meglio un invito appassionato alla sinistra stessa perché rifletta sul culto moderno della morte ed esca dalle illusioni «pietistiche» e terzomondiste e denunci invece l´enormità del terrorismo. Il sottotitolo del volume (Einaudi Stile Libero, pagg. 252, euro 13,50)recita apertamente la tesi alla base del saggio: Perché la guerra al fondamentalismo è una guerra antifascista.
Per Berman quello in atto non è scontro di civiltà, piuttosto, per quel che riguarda l´Occidente, una guerra coraggiosa, necessaria, liberale (nel senso americano del termine) contro il totalitarismo. Punto di svolta è la natura nichilista del fondamentalismo islamico, lo stesso nichilismo che ha alimentato fascismo, nazismo e comunismo. Eredità che è entrata a far parte del bagaglio dei leader terroristi, assai spesso formati in prestigiose università occidentali, e dunque abitanti in contemporanea di due universi, quello moderno dell´Occidente insieme al «cosmo lontano della patria ricordata», una doppiezza non a caso ricordata nei Versi satanici di Salman Rushdie, una commistione evocata ultimamente anche da Ian Buruma e Avishai Margalit in Occidentalism e da André Glucksmann nei suoi Dostoevskij a Manhattan (edizioni Liberal) e Occidente contro Occidente (Lindau). Scriveva Glucksmann: «gli angeli sterminatori sorgono a livello planetario dalla faccia oscura, massacratrice e nauseabonda della nostra ipermodernità. Il "fratello" islamico, pronto a sacrificare gli altri e se stesso, è il gemello dell´"uomo d´acciaio" bolscevico, una riedizione dell´eroe fascista che proclama "viva la morte"».
Se è vero, come è vero, che un numero sorprendente di terroristi musulmani rivela un´identità secondaria occidentale (e nel libro sono citati numerosi esempi di questo fenomeno, tra cui Tariq Ramadan, filosofo del fondamentalismo contemporaneo e professore a Friburgo), Berman dice che per capire il fondamentalismo bisogna sì guardare ad est, alla storia del mondo arabo, ma anche a ovest, e «non solo la politica, ma anche la letteratura e la filosofia».
Chiunque si sia misurato con il totalitarismo e la sua ferocia, ricorda Berman, da Orwell, a Koestler, da Milosz alla Arendt, esprimeva un´emozione comune: lo stupore, stupore per «i tentacoli di un unico, grande mostro delle profondità, di una nuova orribile creatura della civiltà moderna», che si era espressa sotto vesti diverse ma all´unisono «in una politica demagogica, irrazionale, autoritaria e follemente assassina, una politica di mobilitazione di massa per obiettivi irraggiungibili». Una formulazione che rende evidente il parallelismo tra i fascismi, i comunismi e il fondamentalismo di oggi.
Perché Berman insiste così tanto sul nichilismo Otto/Novecentesco (dai demoni dostoevskiani agli attentati russi agli assassinii politici anarchici, passando per Baudelaire, secondo un percorso già affrontato e studiato da Camus nell´Uomo in rivolta)? Perché allora - come in parte oggi - la società rimase calma, convinta che quei gruppi e quei sentimenti, quell´infatuazione per la morte e il sangue e il martirio, rimassero marginali, e che «non ci sarebbero mai state folle enormi a marciare nelle strade gridando slogan a favore dell´omicidio e del suicidio e che? non sarebbero mai arrivati al potere». Poi... poi le cose andarono diversamente. Poi, scrive Berman, il culto della morte e dell´irrazionalità si impadronì di interi movimenti di massa: e la destra e la sinistra estreme videro come nemico la civiltà liberale, ovvero la possibilità di credere in molte cose invece che in una, la libertà che riconosceva l´esistenza di altre libertà.
Il sogno dei "rivoluzionari" era impossibile: se Lenin «voleva liberare l´umanità e ordinava omicidi di massa rimanendo per definizione innocente come un agnello», l´obiettivo di Mussolini era trasformare il caos in ordine e Hitler mirava a purificare il mondo. Era l´ideale di qualcosa di divino. Lo Stato totale, la dottrina totale, il movimento totale. «Totalitario» era la parola di Mussolini.
La cecità che il mondo, e la sinistra, ebbero nei confronti dei totalitarismi (importante il riferimento ai socialisti francesi di Paul Faure che lasciarono solo Léon Blum e scivolarono a fianco di Hitler con la repubblica di Vichy, in nome della pace e della pretesa legittimità che vollero riconoscere alle pretese tedesche e al loro antisemitismo, ma in realtà stravolti dalla paura e incapaci di riconoscere l´«irragionevolezza» del nemico) è la stessa, dice Berman, che imperversa ora nella sinistra europea e americana. Il polo anti-interventista dell´oggi è convinto che ci sia «razionalità» nell´agire umano e politico, ha dimenticato la lezione totalitaria, ed è invece certo che il conflitto sia uno scontro tra interessi contrapposti: se i terroristi usano tanta violenza, dicono, deve esserci un motivo, un´ingiustizia subita, uno sfruttamento diabolico patito da parte di un oppressore. I pacifisti di oggi, come ieri, si rifiutano di riconoscere l´irrazionale e lo fanno diventare razionale. Hanno, ripete infinite volte Berman, dimenticato la lezione della patologia totalitarista mentre, a dispetto dei Noam Chomsky e dei Saramago (a lungo accusati da Berman), questa guerra al terrorismo islamico è la prosecuzione della guerra contro Hitler e Stalin.
Che il totalitarismo calzi il fondamentalismo musulmano lo dimostra per Berman anche la politica dell´assassinio e del suicidio abbracciata ripetutamente dagli islamisti: a cominciare dagli attacchi a ondate umane adottati nella guerra tra Iran e Iraq fino alle devastazioni delle guerre civili algerine e sudanesi, alle missioni dei terroristi suicidi nel Medio Oriente e nel mondo, conflitti le cui perdite umane vanno contate in milioni sottolinea l´intellettuale liberal americano. Per quanto riguarda la dottrina che sta alla base della "riscossa" islamica Berman offre, tra l´altro, uno studio degli scritti di Sayyd Qutb (1906-66) il fondatore dei Fratelli musulmani, pensatore profondo e «sinistro» convinto che l´Occidente soffra di una schizofrenia indotta dalla separazione tra società civile e autorità religiosa e che voglia «sterminare l´Islam» sostituendolo con concezioni secolari. Schizofrenia occidentale che Qutb intende combattere, fiduciosamente, con una avanguardia di combattenti dai compiti precisi: vivere una vita islamica, creare una sorta di controcultura «pura», riconoscere i traditori, intraprendere la jihad e il rinnovamento della civiltà in tutto il mondo, ripristinando la società islamica primordiale: un´«utopia» pari ad altre utopie totali. Altrettanto approfonditamente Berman affronta l´incontro tra il nazionalsocialismo arabo del partito Baath e il fondamentalismo di Bin Laden, allievo del fratello di Sayyd Qutb.
Negli Stati Uniti Paul Berman sostiene la candidatura di Kerry, espressamente. E non è tenero con Bush junior, con la sua immagine, con il suo stile oratorio, non è tenero verso l´atteggiamento che in genere l´Occidente ha avuto con i paesi musulmani (ma ricorda che gli ultimi interventi americani sono stati a favore di islamici, Quwait, curdi, Somalia, bosniaci, kosovari, insieme all´impegno speso per risolvere la questione israeliana-palestinese da Carter in su), soprattutto non è tenero con le alleanze che l´Occidente ha contratto con regimi corrotti e dispotici. Eppure condivide la scelta di Bush (che accusa soprattutto di non aver saputo comunicare il valore della guerra al terrorismo e di altri errori) dopo l´11 settembre: estirpare il fanatismo e il terrore credendo, senza razzismi di sorta, nella possibilità di minare le dittature in Medio Oriente e andare anche lì verso la democrazia, combattere il fondamentalismo con la stessa necessità per cui si combatterono gli altri totalitarismi. Una battaglia «antifascista» appunto, che Berman chiede alla sinistra di assumere.