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1948, Israele e Palestina tra guerra e pace Rizzoli (350 pagine) Davide Frattini sul Corriere della sera (6 maggio 2004) E la «colomba» Benny Morris non crede più alla pace Ricorda ancora i volti delle vecchie palestinesi e quello che gli raccontarono. Di come tra il 1947 e il 1948 le loro famiglie furono costrette a fuggire dal villaggio di Al Bassa, nel Nord della Galilea. Nel 1982 Benny Morris lavorava in Libano come giornalista ed era la prima volta che entrava in un campo rifugiati, Rashidiye, vicino a Tiro. Quelle storie e le fotocopie annerite che agli inizi degli anni Ottanta cominciarono a uscire dagli archivi militari alla periferia di Tel Aviv lo spinsero a indagare su una delle questioni sempre al centro del conflitto arabo-israeliano: i 700 mila palestinesi che negli anni di guerra dovettero abbandonare le loro case. Le ricerche e le quattrocento pagine di The Birth of the Palestinian Refugee Problem , pubblicato nel 1988, hanno inaugurato la «nuova storiografia» israeliana. Che si proclama post-sionista e vuole riesaminare i miti fondanti dello Stato ebraico: il libro affronta le responsabilità individuali e nazionali che portarono a quell?esodo di massa, che gli arabi chiamano e ricordano come la nak bah , la «catastrofe». Morris accusa le truppe israeliane di crimini di guerra, elenca casi di massacri contro i civili, episodi di violenza carnale. Ma non arriva a sostenere che gli israeliani avessero progettato un piano sistematico di espulsione. E imputa la fuga dai villaggi palestinesi anche ai leader degli Stati arabi: incoraggiarono l?esilio volontario per sfruttarlo come propaganda e giustificare il loro intervento armato. Le indagini di Morris sono rimaste incomplete fino a quando i documenti israeliani sul periodo 1947-48, riservati per cinquant?anni, sono stati declassificati e resi pubblici. Questi nuovi studi arricchiscono i tre saggi storici di 1948. Israele e Palestina tra guerra e pace , pubblicato adesso in Italia, edizione «rivisitata» del libro del 1988. Ma quello che Morris a 54 anni ha deciso di rivisitare sembrano soprattutto le sue posizioni politiche. I quattro capitoli che più hanno fatto discutere in Israele - la destra è arrabbiata per quello che ha scritto in passato, la sinistra non gli perdona quello che dice nel presente - raccontano un processo intellettuale cominciato nel 2000: «Sono stati il rifiuto, da parte della leadership palestinese, delle proposte Barak-Clinton, l?avvio dell?intifada e la richiesta dell?accettazione israeliana del "diritto al ritorno" dei rifugiati che mi hanno persuaso che i palestinesi, almeno in questa generazione, non vogliono la pace». Un?evoluzione che porta Morris il refusnik del 1988 - nel libro è presentato il diario delle tre settimane passate in carcere per essersi rifiutato di prestare servizio come riservista nei territori occupati - a scrivere sedici anni dopo: «Mi sembra di sentirmi un po? come quei viaggiatori occidentali che, nel 1956, furono bruscamente svegliati dal rumore dei cingoli dei carri armati sovietici che occupavano Budapest (...) La ragione principale del mio pessimismo sull?attuale crisi mediorientale è la figura di Yasser Arafat (...) Invece di informarli accuratamente sulle offerte israeliane di pace, i media controllati dall?Autorità hanno sottoposto i palestinesi a un continuo bombardamento di menzogne e propaganda anti-israeliana. Arafat si è perfezionato ad arte nella pratica di dire una cosa agli occidentali e raccontarne un?altra, ben diversa, ai suoi elettori». Morris ha scontentato chi lo considerava un paladino della causa palestinese anche con un?intervista al quotidiano liberal «Haaretz» del 9 gennaio, intitolata La sopravvivenza dei più forti , dove spiegava la sua posizione sulle espulsioni del 1948. «Ci si potrebbe domandare - scrive lo storico nell?introduzione - che cosa farebbe in una situazione simile Ben Gurion, potesse tornare in vita in qualche modo, visto che probabilmente nel 1948 avrebbe voluto architettare un esodo completo piuttosto che parziale, anche se si tirò indietro all?ultimo momento. Forse oggi rimpiangerebbe la sua moderazione. Se fosse andato dritto, forse oggi il Medio Oriente sarebbe un posto più fiorente, meno violento, con uno Stato ebraico dalla Giordania al Mediterraneo e uno Stato palestinese in Transgiordania».