Recensione dal Foglio del 5 maggio '04: "La missione di Molinari, raccontare Bush senza pregiudiz, pag. 3.
Milano. Evviva. C’è un libro che non dà a Bush di figlio di puttana, ed è già una notizia clamorosa. Di più: non gli dà neanche di imbroglione, ubriacone, stupidone, ignorantone, figlio di papà, petroliere, assassino, fondamentalista, riccastro, nazista, illiberale, maccartista, scemo. All’alba della prima metà del 2004 l’editoria italiana ci regala, finalmente, un libro equilibrato sul
presidente degli Stati Uniti. L’autore è Maurizio Molinari, corrispondente dagli
Stati Uniti della Stampa di Torino. Il libro si intitola “George W. Bush e la missione americana” (Laterza editore, 298 pagine - 18 euro). Molinari non ha fatto di Bush un santino, come è capitato al suo collega americano John Podhoretz, autore di “Bush Country”, naturalmente non tradotto in italiano. Tutt’altro. Nella ricostruzione della traiettoria intellettuale, privata, religiosa e politica del presidente Usa sia i detrattori sia gli estimatori potranno trovare argomenti a sostegno della propria tesi. Ma basta questo, basta cioè non aver condannato a morte Bush fin dalla prima pagina, a fare del libro di Molinari un caso più unico che raro. “La missione”, infatti, prima ancora di essere un bel libro, è l’unico sul mercato italiano che non sia affetto dal pregiudizio ideologico anti Bush, se non addirittura antiamericano.
Fatevi un giro in una qualsiasi libreria del centro e vi imbatterete in pile
di libri di comici diventati politologi, di francesi negazionisti e bugiardi, di professori americani antiamericani, di editorialisti biliosi e di analisti fantasiosi, ma in questa baraonda di titoli non riuscirete a trovarne uno che non voglia soffocare Bush con le proprie mani. Il paradosso è che nelle librerie italiane il libro più equilibrato sia quello scritto da John Kerry, l’avversario Democratico di Bush, edito da Piemme col titolo “Un’America nuova”.
“La missione americana” è un libro prezioso che racconta come e perché l’America ha reagito all’attacco dell’11 settembre. E lo racconta attraverso il sezionamento della figura di George Bush: “Origini, famiglia, educazione, amici, interessi economici, religione, idee e stretti collaboratori aiutano a comprendere da dove vengono determinazione e pazienza grazie alle quali un personaggio politico di secondo piano, beffeggiato dagli avversari per i suoi scivoloni grammaticali, è diventato l’uomo più potente del pianeta, leader di una coalizione di democrazie determinate a sconfiggere il terrorismo”, scrive Molinari. Il complimento migliore che gli si possa fare è quello di dire che non sembra un libro scritto da un giornalista. Nel senso che non è il solito e stanco collage di articoli e riflessioni già pubblicate sul giornale e poi
rilegate in fretta e furia per farne un libro da strenna. Piuttosto sembra un racconto di un grande cronista americano, uno di quelli che affronta la materia di cui scrive e non la molla fino a quando non ha fatto l’ultima domanda e poi un’altra ancora, l’ultima ricerca e poi un’altra ancora. Molinari, trentanovenne di Roma, sembra infatti non abbia fatto altro che scrivere questo
libro negli ultimi due anni, tale è la mole di informazioni, di cose viste di persona e raccontate con stile analitico e senza fronzoli. In realtà Molinari ha fatto molto altro, non solo le più apprezzate corrispondenze italiane dagli Usa, ma anche un libro-intervista con il filosofo liberal americano, Michael Walzer (“La libertà e i suoi nemici nell’età della guerra al terrorismo”, Laterza). “La missione” è da leggere per la rinascita cristiana di Bush, per i ritratti dei suoi collaboratori, per l’analisi del conservatorismo compassionevole, con i filoni neocon e paleocon, e per molto altro. Ma è la descrizione della vita nella piccola cittadina di Crawford, 631 abitanti, uno dei quali è proprio Bush, a spiegare meglio di qualsiasi altra cosa l’essenza di questa presidenza. C’entra la fede, c’entra l’economia, ma è laggiù, nel Texas, che nasce la missione americana di George W. Bush.