Iran alle urne, astensione al 60% Non votare è l'unico strumento di dissenso contro il regime criminale degli ayatollah
Testata: La Stampa Data: 23 febbraio 2020 Pagina: 19 Autore: la redazione della Stampa Titolo: «Iran, trionfo annunciato dei partiti conservatori. Cancellati i riformisti»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 23/02/2020, a pag.17, l'articolo "Iran, trionfo annunciato dei partiti conservatori. Cancellati i riformisti".
E' bene non dimenticare che il via libera al nucleare, concesso da Obama e dalla UE fu il risultato della politica 'riformista' iraniana ( ricordate la felicità della Mogherini quando veniva fotografata accanto agli iraniani nuclearisti, altro che riformisti).
A destra: la teocrazia iraniana spiegata: "Voi votate, Dio decide"
A un giorno dal voto parlamentare in Iran, con la maggior parte delle schede scrutinate, la vittoria dei conservatori è schiacciante. La previsione è di circa 200 seggi su 290, più o meno il 70%: in quattro anni hanno guadagnato 116 deputati. I riformisti, già decimati nelle liste elettorali dalle bocciature del Consiglio dei Guardiani, l'organo che dovrebbe decidere sugli standard religiosi e morali dei candidati, rimangono sotto il 10%. In parlamento avevano 135 deputati, scendono a una ventina, forse meno. Poco più saranno gli indipendenti. Niente di troppo imprevisto, tanto che la principale notizia è l'astensione. In un Paese che ha appreso delle prime 6 morti di coronavirus, a Teheran avrebbe votato un venti per cento (1,9 milioni di voti su 9 milioni di elettori), il 40 in tutto il Paese, anche se non ci sono ancora dati ufficiali dell'affluenza, nonostante il conteggio elettronico. Se confermati (e c'è da sospettare che non lo saranno) si tratta di numeri imbarazzanti per la Repubblica islamica che, attraverso la Guida Suprema aveva definito il voto «un dovere patriottico». I riformisti hanno preferito non cavalcare la sfiducia nella politica, sostenendo il voto. Sono rimasti nel sistema, anche se ai margini. L'ex presidente Mohammad Khatami, da tempo obbligato a un silenzio forzato, ha votato come al solito al vecchio seggio di Khomeini e l'ex viceministro Mostafa Tajzadeh ha invitato con un tweet a scegliere i pochi «candidati decenti», pur definendo il voto «pilotato». L'istituto religioso di Hosseinieh Ershad, nel Nord di Teheran, dove Ali Shariati teneva I suoi infuocati discorsi contro lo shah prima della rivoluzione, è il salotto del voto. Ieri è arrivato anche Ali Mottahari, scomodo deputato liberal-conservatore, figlio di uno degli eroi della rivoluzione. Ha giurato che votava solo per protesta contro Trump. Senza dubbio il presidente americano è stato uno dei protagonisti della campagna elettorale. La maggioranza riformista eletta quattro anni fa con il mandato di trovare un accordo nucleare non è sopravvissuta al siluramento americano del Barjam, come gli iraniani chiamano l'intesa firmata con Obama e gli europei.
Le nuove sanzioni e il conseguente crollo del tenore di vita hanno reso il governo di Rohani impopolare, specialmente dopo le iniziali promesse di una svolta economica. Anche tenendo conto che il Majlis, il parlamento, conta relativamente poco nella mappa del potere, il voto segna l'occupazione degli ultimi spazi politici contesi da parte dei conservatori e degli ultraconservatori. La prima conseguenza potrebbe essere la definitiva cancellazione del Barjam. Con le istituzioni politicamente blindate, i vertici della Repubblica e i Pasdaran, potranno concentrarsi sulla successione alla Guida Suprema Ali Khamenei, autorità indiscussa ma ottantenne e cagionevole. Il volto trionfante di questi elezioni è Mohammed Bagher Ghalibaf, 58 anni, ex alto ufficiale delle Guardie rivoluzionarie e della polizia, ex sindaco di Teheran, tre volte candidato alle presidenziali, conservatore modernista che ha trasformato il volto della capitale a colpi di grandi opere (affidate con spericolate scorciatoie burocratiche ai pasdaran) lasciandosi dietro una scia di debiti. In questo voto quasi senza riformisti è stato lui il principale avversario degli ultraconservatori. Legato, come molti altri candidati vittoriosi, al potente ministro della Giustizia Ebrahim Raisi (ricordarsi questo nome), rappresenta l'ala tecnocratica dei tradizionalisti. Primo degli eletti a Teheran, ha racccolto i voti della base popolare del regime, arrivando all'80 per cento nelle periferie. Tutti e trenta i seggi della capitale sono andati ai fondamentalisti. Qalibaf diventerà, quasi certamente, il nuovo portavoce del parlamento al posto di Ali Larijani. Da notare che a Teheran è arrivato terzo Morteza Agha-Tehrani, religioso vicino a Mahmud Ahmadinejad e all'ayatollah ultraconservatore Mohammad-Taqi Mesbah-Yazdi, cosa che dimostra come l'ex sindaco (un altro) ed ex presidente gode ancora di una certa popolarità.
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