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Corriere Fiorentino Rassegna Stampa
19.02.2020 Il filo spezzato tra la sinistra italiana e gli ebrei
Franco Camarlinghi recensisce Alessandra Tarquini

Testata: Corriere Fiorentino
Data: 19 febbraio 2020
Pagina: 1
Autore: Franco Camarlinghi
Titolo: «Il filo spezzato tra noi e gli ebrei»
Riprendiamo dal CORRIERE FIORENTINO con il titolo "Il filo spezzato tra noi e gli ebrei" l'analisi di Franco Camarlinghi.



La copertina del libro di Alessandra Tarquini, La sinistra italiana e gli ebrei. Socialismo, sionismo e antisemitismo dal 1892 al 1992, il Mulino 2019

Gli italiani sono una percentuale notevole dei turisti che percorrono le strade e visitano i luoghi della memoria di Berlino. Non sono molti, però, quelli che si possono incontrare a Wannsee, nella Villa della Conferenza, dove, il 20 gennaio del 1942 Reinhard Heydrich diresse la riunione in cui fu pianificato lo sterminio degli Ebrei europei. Adolf Eichmann redasse il protocollo del progetto di soluzione finale che fu ritrovato nel 1947 negli atti del Ministero degli esteri della Germania di Hitler. Ebbene, nelle stanze della Villa della Conferenza, nel pensare a quel 20 gennaio di quasi ottant’anni fa, si può capire meglio che altrove la specificità e l’incomparabilità del genocidio degli ebrei. Il libro di Alessandra Tarquini sulla sinistra italiana e gli ebrei, sul socialismo. Il sionismo e l’antisemitismo dal 1892 al 1992 (il Mulino 2019), mi ha prima di tutto fatto tornare in quelle stanze, percorse nel ricordo di una partecipazione alle vicende della sinistra in Italia che non ha mai posto con chiarezza a sé stessa la questione ebraica. Della storia della sinistra che ho vissuto personalmente un momento particolare del rapporto con gli ebrei fu certamente quello della guerra dei sei giorni.

Risultato immagini per Alessandra Tarquini
Alessandra Tarquini

L’atteggiamento ostile a Israele(con le conseguenti venature antisemite, inevitabile, ancorché negate) non nasce improvviso, ma affonda le sue radici in tutta la storia della sinistra dalla fine dell’800 in poi e, in particolare, negli anni ’50 dopo l’iniziale entusiasmo per la risoluzione dell’Onu del 1948. Ha ragione Alessandra Tarquini, ma nella memoria personale di un giovanissimo militante del Pci di quel 1967 c’è qualcosa che allora sembrò una novità. Nei quartieri popolari di Firenze, come erano nel dopoguerra quelli del centro, l’antisemitismo era stato certamente presente, ma la sinistra e in particolare il Pci, che via via era diventato la forza decisiva nei sentimenti della gente comune, aveva ereditato dalle rivelazioni sullo sterminio un atteggiamento di partecipazione alla drammatica storia degli ebrei. Anche in Santa Croce, non c’era casa di gente di sinistra dove non si avesse fra i pochi libri uno di quei volumi di fotografie dove si documentava la liberazione dei lager, in particolare di quello di Auschwitz da parte dell’Armata rossa. Non si sentiva antagonismo di qualsiasi tipo con gli ebrei e se ne conoscevano le perdite anche a Firenze. Certo, pochi avrebbero saputo dire che cosa fosse stato l’affare Dreyfus, che cosa avesse significato anche in Italia la questione ebraica, il tema dell’assimilazione, oppure il sionismo, ma l’olocausto era entrato nella testa del popolo di sinistra, al di là del dibattito o meglio delle reticenze che riguardavano i partiti e gli intellettuali di riferimento. Tutto cambiò in quei giorni di giugno del 1967. L’anno prima, in novembre, a Firenze c’era stata l’alluvione, il centro era appena in ripresa, profondamente ferito, ma ancora vissuto e in Santa Croce l’Arco di San Piero e la piazza omonima erano un luogo che non aveva mai conosciuto, e per un poco avrebbe continuato a non conoscere, la differenza fra il giorno e la notte. A un certo punto della sera la piazza si trasformava in un’assemblea di gente che discuteva di politica, che celebrava una Resistenza che in gran parte non aveva fatto ein cui la primazia apparteneva per il momento al Pci: i movimenti alla sua sinistra non avevano ancora peso determinante. Nessuno aveva mai sentito qualcosa contro Israele e gli ebrei, anzi: quei giorni di giugno cambiarono radicalmente il discorso pubblico sul Medio Oriente del popolo di San Pierino. Improvvisamente venne fuori il rancore contro uno Stato che intendeva far parte del mondo occidentale e che non voleva essere adepto dell’Urss; venne fuori un filoarabismo di base di cui prima non si era avvertito il peso. Si sentivano auspici di interventi dei sovietici direttamente contro Israele, addirittura lamentazioni che ciò non avvenisse. Da questo al passo successivo, al mettere sotto accusa gli ebrei in quanto ebrei, non sarebbe passato che un attimo di tempo. Fu una novità in una piccola enclave popolare, ma veniva al dunque la relazione di fondo che la sinistra aveva avuto con la questione ebraica, o come la si voglia chiamare per non rifarsi troppo a Marx. Come dimostra Alessandra Tarquini, in una prima, ma lunga fase la sinistra italiana dalla fine dell’800 aveva interpretato il problema degli ebrei secondo l’interpretazione che ne aveva dato la Seconda internazionale e poi, all’indomani della Seconda guerra mondiale, dopo la Shoah, legando i propri atteggiamenti al rapporto con gli schieramenti avversi della guerra fredda. Questo lo si vede con chiarezza nei documenti e nei comportamenti che riguardano i gruppi dirigenti dei partiti della sinistra(per non dire degli intellettuali),malo stesso accadde nel modo di avvertire la questione ebraica da parte dei militanti, in special modo del Pci: la conseguenza fu di aprire uno spazio largo alle aberrazioni di una sinistra cosiddetta diffusa violentemente in contrasto con Israele e alla fine con gli ebrei. Le considerazioni fatte riguardano solo pochi elementi di una ricerca che affronta in maniera esaustiva cento anni di storia italiana, di un libro che merita di diventare un “livre de chevet”, per qualsiasi lettore che voglia capire qualcosa di una delle grandi questioni del nostro tempo.

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