Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/02/2020, a pag.23, con il titolo "L'apertura degli archivi vaticani su Pio XII è una difficile prova per gli storici" la lettera al direttore della Stampa del Rabbino Capo della Comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni.
Rav Riccardo Di Segni
Adolf Hitler, Pio XII
Caro Direttore,
L'apertura degli Archivi vaticani per il pontificato di Pio XII, che avverrà il 2 marzo 2020, è un evento decisamente importante. Inizia una nuova fase di studio e di interpretazione sulla base di documenti finora inaccessibili. Non sarà un processo rapido e semplice. La quantità dei documenti messi a disposizione degli studiosi è enorme. Gli argomenti trattati sono disparati, coinvolgendo ogni tipo di attività vaticana, dalla religione alla politica alla assistenza sociale in tutto il mondo. Non è materia per dilettanti, si richiedono competenze sofisticate di tipo storico, politico, archivistico, diplomatico. Alla fine rimarrà a lavorare sul campo una pattuglia esigua di studiosi impegnati per anni. Le difficoltà tecniche sono complicate dalla natura stessa del materiale che riguarda un periodo storico drammatico sul quale le interpretazioni e le passioni non si sono mai spente. Gli storici ideali dovrebbero lavorare come se fossero in una camera sterile ed isolata, liberi da qualsiasi pregiudizio e influsso, concentrati sui loro documenti e quello che significano. Ma vai a trovare storici di questo tipo per la materia di cui parliamo. Da un lato ci sono gli apologeti a ogni costo, dall'altro gli accusatori inflessibili, ognuno con i suoi argomenti. Per amore della verità sarebbe utile trovare prove decisive in un senso o nell'altro, e potersi ricredere in base ai dati oggettivi; ma già è stato detto, e a ragione, che se ci fossero stati documenti decisivi da proporre, sarebbero stati divulgati da molto tempo, e che se ci sono effettivamente documenti decisivi non pubblicati non ci sono garanzie che vengano messi a disposizione degli studiosi.
L'ampiezza temporale del pontificato di Pio XII e la drammaticità del periodo rendono in ogni caso preziosissimo tutto il materiale finora inaccessibile. Perché certamente Pio XII non è stato solo il Papa dei giorni dell'occupazione nazista a Roma, ma il Papa di prima e di dopo, e in particolare di questo «dopo», il tempo della guerra fredda e della rigidità dottrinale e politica di Pio XII, si parla molto meno.
Ci vorranno anni per arrivare a qualche conclusione nuova, e chissà se sarà super partes e condivisibile. Ma nel frattempo bisogna stare attenti ad evitare che la linea difensiva diventi l'unica chiave di lettura a tutti i costi. Nel messaggio inviato da Papa Francesco per i 150 anni di Roma capitale è stato ricordato il 16 ottobre 1943, quando «si sviluppò la terribile caccia per deportare gli ebrei». «Allora, la Chiesa, fu uno spazio di asilo per i perseguitati: caddero antiche barriere e dolorose distanze». Ora, se è innegabile l'asilo dato a molti perseguitati nelle case religiose, e la gratitudine per questo, è anche innegabile l'altra parte della storia, quando non ci fu, proprio il 16 ottobre e nei mesi seguenti, nessuna opposizione al rastrellamento e alla deportazione. Il quadro degli eventi è molto più complesso e non si riassume in una semplificazione autoassolutoria. Quella su Pio XII non è una «leggenda nera», piuttosto una storia grigia, fatta di atti e segnali diversi. L'amicizia e la fraternità tra ebrei e cristiani alla quale siamo arrivati faticosamente e che desideriamo tutti mantenere e promuovere non può cancellare le complessità della storia precedente.
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