AZAR NAFISI
"Reading Lolita at Tehran"
Ed. Adelphi
"Nel libro di Azar Nafisi la libertà di Nabokov fa paura solo ai mullah" (Recensione di Giulio Meotti, Il Foglio, 02/03/2004)
Come surrogato di un insegnamento precluso a chi si rifiutava di indossare il velo, ogni venerdì mattina Azar Nafisi cominciò ad invitare un gruppo di donne, anche trenta, nel suo appartamento di Teheran, per parlare di letteratura occidentale. Un giorno una scomparve, era stata arrestata, tenuta in una cella per due giorni e prese venticinque frustate dopo il test della verginità. Azar capì che il regime iraniano avrebbe mantenuto la sua egemonia con la repressione delle donne. Da quegli incontri ne è nato un libro strepitoso, “Reading Lolita at Tehran”, per la Random House, che ha scalato le classifiche dei best sellers negli Stati Uniti, piazzandosi al primo posto tra i paperback nonfiction. Che il paese che aveva lasciato per andare a studiare in Inghilterra non era più lo stesso se ne era accorta all’aeroporto, al tempo dello scià pieno di ristoranti e squisite boutique. Al suo posto, un poster di Khomeini e la scritta “morte all’America! Abbasso l’imperialismo e il sionismo”. Ha lasciato di nuovo l’Iran nel 1997. Oggi insegna alla John Hopkins University di Baltimora, collabora con il Wall Street Journal e il Washington Post, e nella lotta per un moderno Iran fa il paio con il Nobel Shirin Ebadi. Ha aperto un forum, thedialogueproject.org, per discutere di Islam, diritti umani e democrazia. Sostiene che “la cosa più incredibile era la discrepanza tra come eri in pubblico e in privato”. Secondo l’American Journal of Psychiatry, la scelta di leggere Nabokov a Teheran non è casuale, celebra la fantasia, la nobiltà del rifiuto della coercizione, la vittoria psicologica sull’abuso sistematico. Per Azar, “Humbert Humbert è cieco, è l’ayatollah di Lolita, la vede come un’estensione delle sue ossessioni. E’ ciò che fa uno stato totalitario”. Al San Francisco Chronicle ricorda però che “molte persone guardano alla mia come ad una storia di coraggio, ma io in verità ero terrorizzata”. L’ostracismo spinse un’altra donna coraggiosa, Marina Cvetaeva, accusata di pessimismo nevrotico, al suicidio, e un’altra, Anna Achmatova, la “decadente poetessa da salotto”, al più totale isolamento. Nella Cina di oggi ci sono giornalisti e curatori di siti internet con otto anni di carcere da scontare. La cultura islamica per Azar Nafisi ha lo stesso immenso deficit di liberalità, a cui va aggiunta la pretesa esclusiva e megalomane di risolvere l’intera realtà con un solo libro. Figuriamoci sopportare Nabokov, colui che più ha arricchito la nostra comune scorta di tentazioni, o permettere Jane Austen, antesignana di un pacato femminismo. Nella repubblica iraniana il sogno di un musulmano è avere come sposa una ragazza vergine di nove anni, per cui fra i primi atti ci fu quello di abbassare a nove l’età matrimoniale. Azar ricorda che negli scritti di Khomeini “il sesso con gli animali era visto come un modo per tenere sotto controlli gli appetiti dell’uomo”. Oltre a Susan Sontag, anche Bernard Lewis ha avuto parole di encomio per il libro. Il New York Times ne ha parlato come di un “riassunto eloquente sul potere trasformativo della fiction”. Cynthia Ozick, del New Republic, di una “memoria angosciata e gloriosa”, l’Indipendent di un libro elegiaco, “un tributo alla tenacia dello spirito umano”. Sua madre ripete spesso che “quello in Iran non è Islam”. All’Atlantic Monthly, Azar ha detto che l’Iran di oggi richiama infatti alla mente la religione mitologica del Reich, il monopolio sovietico sull’economia e l’uniformità maoista. Era esaltata come tutti all’inizio dal nuovo corso riformatore di Khatami, ma poi ha capito che il suo è un tentativo paradossale, votato al fallimento, perché ancora oggi “la regola della legge non è la Magna Charta, ma la suprema giurisprudenza del clero”. Molti dei sostenitori di Khatami sono in galera o morti, il giornale che lo sostenne all’inizio non esiste più e vengono continuamente chiusi i Bauhaus della dissidenza. E’ l’arbitrarietà a segnare il fondamentalismo, “quando ti alzi negli Stati Uniti sai cosa fai in strada o al lavoro. In Iran quando lasci la tua casa non sai esattamente cosa può succederti”. Agli amici americani ricorda che “chi si è schiantato contro il World Trade Center non aveva solo paura dell’America, ma che il loro popolo volesse diventare più democratico”. “La politica verso il governo iraniano deve essere ferma sui diritti umani, un governo totalitario non può avere armi di distruzione di massa”. E’ delusa anche dalla sinistra dei campus “allineata con gli islamisti. Il termine liberalismo non esiste nell’Islam, lo pensano come un termine americano. Ricordo quanti amici della sinistra se la presero con me quando partecipai alle dimostrazioni per i diritti delle donne. Dicevano fosse individualismo borghese, la nostra lotta deve essere contro l’imperialismo americano, ora”. Nonostante l’aria che si respira oggi nelle università iraniane sia meno malsana, una studentessa una volta le disse che se fosse diventata una venditrice di sigarette avrebbe avuto più chance nella vita. “Le donne vanno in prigione se usano il rossetto, prendono settanta frustate se non portano il velo, non possono tenere per mano l’uomo che amano. Perciò l’amore, le emozioni e le scelte personali, sono al centro della lotta in Iran. E uno dei modi per realizzarlo è leggendo quei libri. Per Nabokov i lettori sono nati liberi e devono rimanerlo”. |