Iran, continuano le proteste contro il regime degli ayatollah Commento di Vanna Vannuccini
Testata: La Repubblica Data: 15 febbraio 2020 Pagina: 11 Autore: Vanna Vannuccini Titolo: «Tra gli studenti in piazza contro gli ayatollah: 'Stufi delle loro bugie'»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 15/02/2020, a pag.11 con il titolo "Tra gli studenti in piazza contro gli ayatollah: 'Stufi delle loro bugie' " il commento di Vanna Vannuccini.
Vanna Vannuccini
Proteste in Iran
Prima ci sono state le proteste per il prezzo della benzina triplicato, che il regime ha duramente represso. Poi in gennaio un drone americano ha ucciso Qassem Soleimani, il più importante generale dei pasdaran, e milioni di persone in lutto sono scese per le strade. Poi i pasdaran hanno abbattuto per errore un aereo civile, 176 persone sono morte, quasi tutti giovani iraniani che erano andati a cercare un futuro migliore in Canada, e di nuovo sono ricominciate le proteste. L'Iran è in fermento. Un Paese ideologizzato dalla Rivoluzione, traumatizzato dalla perdita delle speranze suscitate dal Trattato nucleare, oscilla tra ribellione e paura. «Siamo stanchi di tutte queste bugie», ci dicono alcuni studenti di Giurisprudenza dell'Università di Teheran. «Questa volta hanno dovuto dire la verità perché l'aereo era ucraino, se fosse stato un volo interno non avremmo mai saputo nulla». «lo sono venuto all'università, avevo portato solo delle candele. Ma subito sono arrivati i basiji con i lacrimogeni», racconta uno di loro. «Il secondo giorno sono tornato con gli occhiali da sub contro i gas, ma ai primi spari so no scappato». La rabbia è tanta, ma altrettanto grande è la paura che scorra il sangue. Esploderà ancora? «Oggi in Iran è impossibile dire cosa succederà domani. Questo è il disagio più grande di tutti, vivere nella totale incertezza. Come durante un terremoto». Ai riformatori non credono più, anche se avevano votato due volte per Rouhani. Alle elezioni legislative del prossimo 21 febbraio non andranno più a votare. Come la generazione prima della loro, quando era presidente Khatami. I riformatori in Iran sono quelli che sostengono il regime, ma da decenni lottano per aprirlo e negli anni in cui sono stati al governo hanno aperto molte porte, nel cinema, nell'editoria, nella società, perfino sui diritti delle donne, un tema tabù nella Repubblica islamica. Ma anche i presidenti riformatori devono sottostare al Leader supremo. È il regime quello che conta, non il governo. I due uffici dei basiji (uno per le donne e uno per gli uomini) al pianterreno della Facoltà di Giurisprudenza espongono cartelli che accusano il presidente Rouhani c il suo ministro degli Esteri Zarif di tradimento: il primo perché ha criticato il Consiglio del Guardiani che per le prossime elezioni legislative del 21 febbraio ha squalificato tutti i candidati riformatori, il secondo perché ha detto che l'Iran «è sempre pronto a negoziare», anche dopo che Trump ha stracciato il trattato nucleare. Nell'ufficio per le donne la studentessa è completamente avvolta nel chador. Per i conservatori l'abito delle donne è un metro del successo o dell'insuccesso della rivoluzione. L'organizzazione dei basij fu creata dopo la rivoluzione con l'incarico di reclutare volontari per il fronte nella guerra contro l'Iraq. Oggi ci sono centri dei basij in tutte le università del Paese per impedire qualsiasi organizzazione degli studenti nei campus. Quanti studenti qui fanno parte dei basiji? «Quasi il 50 per cento», rispondono. «Molti si iscrivono per avere potere, a tutti piace avere il potere. Eppoi perché hanno tanti vantaggi: sei mesi in meno di ferma militare (su due anni) se sono maschi, a volte anche uno stipendio». «Pensare che la Repubblica Islamica stia per crollare è un errore», mi dice Said Leylaz, ex viceministro dell'interno con Khatami, poi nel 2009 accusato di sedizione e di incitamento all'odio contro la Repubblica islamica in un processo farsa, infine uscito di prigione e diventato uno dei consiglieri di Rouhani. «Il regime terrà duro fino alla fine e la gente sa come finisce una guerra civile». Leylaz ribadisce da anni che la corruzione pesa sull'economia iraniana quasi quanto le sanzioni. «Un anno fa vendevano ancora due milioni e mezzo di barili al giorno, oggi siamo a 300 mila barili e nella prossima legge di bilancio le entrate petrolifere non sono più calcolate. Ma se investissimo quello che abbiamo in misure che diano lavoro, per esempio nella costruzione di una rete ferroviaria che manca in questo Paese, si diminuirebbe la disoccupazione, si creerebbe speranza. Abbiamo tutte le fabbriche necessarie a produrre i materiali che servono». Invece, quando Rouhani rivelò pubblicamente quanta parte del bilancio delle Stato deve essere obbligatoriamente devoluta alle Fondazioni e alle istituzioni religiose che non pagano tasse e rispondono solo al Leader supremo, fu messo a tacere da Khamenei, la macchina della propaganda del regime si mise in moto e di lì cominciò la sua rovina. Per le prossime elezioni legislative i riformatori si trovano ancora una volta di fronte all'antico dilemma: partecipare alle elezioni o no? Il Consiglio dei Guardiani ha cancellato tutti i loro candidati nelle province, dove la gente per ragioni di controllo sociale comunque va a votare, mentre ha astutamente ammesso qualche candidato riformatore a Teheran, dove di sicuro chi aveva simpatie riformiste non vota più. E allora che fare? Invitare al voto col rischio di prendere pochi voti o decidere per l'astensione? Si aspetta cosa dirà Khatami (al quale comunque è vietato da anni di parlare in pubblico), dice Mostafa Tajzadeh, anche lui un riformatore della prima ora. Dopo le manifestazioni dell'Onda Verde era stato messo in carcere per sette anni. «Le proteste si radicalizzano sempre di più perché gli iraniani non sperano più nelle riforme», mi dice. Tgjzadeh ha la stoffa dei veri rivoluzionari, non ha perso l'ottimismo né la voglia di combattere. Sta lavorando a un programma davvero rivoluzionario per l'Iran, che prevede l'abolizione della carica a vita del Leader Supremo, l'abolizione del potere di veto del Consiglio dei Guardiani (che accettano o squalificano i candidati a ogni elezione), quindi elezioni libere, libertà di espressione e di stampa, no al potere politico per i militari (i pasdaran). Nell'ingresso del condominio dove vive ha creato una specie di stanza di ricevimento, ma ormai va a fargli visita solo qualche giornalista straniero. Ricordando gli annidi prigione racconta che ogni anno gli davano tre giorni di libertà per vedere la famiglia. «Ogni volta quando tornavo vedevo come il Paese era cambiato in un anno e dicevo a mia moglie: vedi com'è sceso il velo sulla testa delle ragazze? Qualche progresso piano piano si fa».
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