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Libero Rassegna Stampa
11.02.2020 La storia del salvataggio degli ebrei d'Etiopia
Andrea Morigi intervista Yola Reitman, ex agente del Mossad

Testata: Libero
Data: 11 febbraio 2020
Pagina: 12
Autore: Andrea Morigi
Titolo: «La spia che salvò 20mila ebrei dell'Etiopia»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 11/02/2020, a pag.12 con il titolo "La spia che salvò 20mila ebrei dell'Etiopia" l'intervista di Andrea Morigi a Yola Reitman, ex agente del Mossad.

A destra: Yola Reitman, ex agente del Mossad

Immagine correlata
Andrea Morigi

Anche i Falascia, gli ebrei fuggiti in Etiopia 2.500 anni fa, guardavano a Gerusalemme come alla loro capitale e i loro discendenti volevano tornarvi, senza nemmeno sapere dell'esistenza dello Stato di Israele. Erano e sono un unico popolo e per questo fra il 1981 e il 1985 scattò l'Operazione Fratelli, che ne riportò 20mila nella madrepatria. Yola Reitman, l'agente del Mossad che ne fu la protagonista, ripercorrerà quella vicenda oggi, alle 20.00, nella sede del Comune di Milano, a Palazzo Marino. Parlando con Libero, l'ex 007 israeliana ne ripercorre le fasi epiche, che sono state oggetto di un film trasmesso da Netflix, "Red Sea Diving Resort".
Quando vi siete accorti che era venuto il momento di salvare gli ebrei etiopi? «Quando uno di loro, Fédéré Akloum, dopo essersi rifugiato in Sudan in seguito alla persecuzione del regime etiopico di Menghistu, si rivolse con una lettera alle autorità dello Stato ebraico, chiedendo soccorso per la comunità dei cosiddetti Beta Israel. Fu allora che il primo ministro Menachem Begin andò al Mossad il compito di attivarsi per portarli in Israele».

Risultato immagini per Red Sea Diving Resor
La locandina del film prodotto da Netflix

Lei come fu scelta? «Io ero un'assistente di volo della compagnia di bandiera El Al, ma avevo un brevetto da subacquea. Mi misero a capo di una struttura che, sotto la copertura di un villa ze o turistico sulla costa sudanese del Mar Rosso, avrebbe dovuto organizzare il trasferimento. Di giorno eravamo un paradiso delle vacanze, Di notte, compivamo la nostra missione, ma senza mai coinvolgere il resort».
Come si svolgevano le operazioni? «In un primo momento, gli ebrei etiopi venivano messi su voli civili diretti in Europa e da lì imbarcati per Tel Aviv. Poi, a mano a mano che si spargeva la voce, i numeri dei profughi aumentavano e durante il primo anno e mezzo venivano trasportati su navi della nostra Marina Militare, partendo dalla spia v a con dei gommoni, duecento alla volta. Ma non era ancora sufficiente e in più, per arrivare al punto di imbarco erano costretti a 900 chilometri a piedi».
Come avete risolto il problema? «Abbiamo organizzato dei voli segreti di Hercules C 130, su piste improvvisate nel deserto, per caricarne il più possibile».
II governo islamico di Khartoum vi era ostile. Non vi hanno mai scoperti o individuati con i radar? «Avevo finto di perdere la strada vicino a una base militare, i soldati mi avevano fatta entrare e mi ero accorta che i radar non funzionavano. Certo, eravamo ricercati, soprattutto sulla costa. Qualche incidente avvenne, ma l'esercito locale credeva si trattasse di contrabbandieri. Non collegarono mai l'attività al villaggetto turistico, anche se una volta vi fecero irruzione e mi interrogarono. Mali convinsi che non avevo nulla a che fare con quell'attività».
Fino a quando siete riusciti ad agire? «Fino all'inizio del 1985, quando dal quartier generale ci avvisarono che stavano venendo a prenderci. Alcuni Beta Israel rimasero indietro. Ma furono salvati in seguito».

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lettere@liberoquotidiano.it

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