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MEIR SHALEV "Fontanella" Ed. Frassinelli - Recensione di Isabella Bossi Fedrigotti, Corriere della Sera 05/02/04, pg.37 La famiglia custode del segreto d’Israele A vrà la strampalatissima famiglia Yofe, protagonista del romanzo Fontanella ( Edizioni Frassinelli), qualcosa in comune con la vera famiglia dello scrittore, l’israeliano Meir Shalev? È possibile, anzi probabile ( anche se del tutto secondario ai fini della lettura), in quanto nel furibondo ribollire della grande saga non è difficile cogliere scene, ritratti, riflessioni e descrizioni che hanno l’aria di provenire da un territorio sentimentale vicinissimo al romanziere, giornalista, conduttore televisivo, autore, tra l’altro, del molto premiato Per amore di una donna da cui il regista Gabriele Salvatores trarrà un film. La lunga storia, che comincia ai tempi dei pionieri — con Apupa e Amuma, i nonni arrivati dalla Russia — e giunge ai giorni nostri — con i pronipoti Uri e Aielet, bizzarri fratelli gemelli — fa pensare in effetti a una doviziosa preparazione che bolle in una pentola, facendo in continuazione muovere gli ingredienti che uno alla volta salgono in superficie per essere poi di nuovo trascinati, vorticando, sul fondo. La saga degli Yofe, che pur si stende attraverso quasi un secolo, risulta in questo modo concentrata e contemporanea, i nonni assieme ai pronipoti, i morti con i vivi, i r i c o r d i con le sper a n z e , i l p a s s a t o con il presente, la prima capanna nel deserto con i grattacieli, i parcheggi e i centri commerciali cresciuti negli anni al suo posto, gli amori e i dolori antichi mescolati a quelli nuovi. Il rigoglioso materiale narrativo viene movimentato da frequenti flash- back che, interrompendo di continuo il ritmo, scongiurano la distrazione del lettore e lo obbligano ad adattarsi all’andamento spezzato, brillante e sempre sorprendente del racconto. Non a caso i capitoli sono dedicati ai singoli personaggi e non ai diversi momenti della storia familiare. In altre parole, quasi ogni pagina già contiene, sia pure in piccolo, l’intera epopea, che poi viene ripresa e ripresa ancora, ampliata, approfondita e infine completata, man mano che ci si avvicina alla fine del libro. È il trionfo del racconto orale, opulento e inarrestabile che procede in apparente disordine, un passo avanti e due indietro, poi uno di lato e di nuovo uno avanti, come a caso, ma che, in realtà, avanza per precise connessioni, relazioni e deviazioni, secondo le regole dell’affabulazione che tende a incantare gli ascoltatori offrendo loro, fin dal principio, gli indizi dell’intera narrazione e costringendoli così a seguirla fedelmente fino in fondo. In effetti, risulta difficile staccarsi dalle caotiche avventure della sterminata stirpe degli Yofe, geniali coloni della prima ora, narrate da Mikhael, nipote di Apupa e Amuma, segretamente soprannominato, dal grande amore della sua vita, Fontanella, per via della fossetta sul cranio che, lui unico uomo al mondo, ha ancora aperta come i neonati, grazie alla quale sente o, meglio, « vede » arrivare gli avvenimenti con qualche ora, qualche giorno d’anticipo. Ed è proprio per merito di questo terzo occhio capace di cogliere e archiviare futuro e passato, sentimenti e sensazioni, ricordi, dolori, desideri e profumi, che Mikhael riesce a essere insieme protagonista e testimone della gran storia, in grado di viverla e di narrarla, di comprenderla ma di sentirla anche graffiare sulla propria pelle. Sulla scena, assieme a lui, paradossali e impossibili, il padre Mordekhai, eroe della Guerra dei sei giorni e indefesso seduttore, morto nel letto di una delle sue amanti, la madre Hanna, spietata salutista e vegetariana implacabile, le tre stravaganti zie, vera risorsa della famiglia, sebbene una di loro abbia sposato, ahimè, un tedesco purosangue, il meritevole cognato tuttofare Aharon, i g l o r i o s i nonni naturalmente, i vicini di casa impiccioni, gli amici, i tanti Yofe più o meno parenti sparsi nel Paese, la moglie Alona, rigida e silenziosa, il figlio Uri, letargico in perenne attesa della donna giusta, e la sua gemella Aielet, che dall'avo Mordekhai deve aver ereditato un po’ della sua incontinenza sessuale; e infine Ania, l’indimenticabile e perduta, che Mikhael si porta nel cuore fin da quando era bambino e dalla quale, estasiato, si è sempre lasciato chiamare Fontanella. Forza del romanzo è ovviamente lo humour, l’inconfondibile witz che, inesauribile vena, da sempre percorre la letteratura ebraica, in qualunque regione e in qualunque lingua si esprima. Irriducibile spirito mordace che ciascun personaggio porta dentro di sé, presente sempre, nei giorni belli come in quelli brutti, spesso ancora assai vivo perfino sul letto di morte. Ma poiché il migliore, il più autentico witz esiste solo se accompagnato, alternato alla melanconia, ecco fugace, improvvisa, simile a una valle ombrosa dopo un’ardita salita in piena luce, la nostalgia per un indefinito tempo migliore, per un amore mai arrivato, per desideri, speranze, attese troppo presto disfatte, e per un presente che non ha proprio nulla a che vedere con quello immaginato, sognato dalle generazioni — non solo quelle degli Yofe — venute prima. |
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