Dal finto moderato Abu Mazen ancora parole di odio Cronaca di Giordano Stabile
Testata: La Stampa Data: 02 febbraio 2020 Pagina: 17 Autore: Giordano Stabile Titolo: «Abu Mazen rompe con Usa e Israele: 'Non venderò mai Gerusalemme'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/02/2020, a pag.17, con il titolo "Abu Mazen rompe con Usa e Israele: 'Non venderò mai Gerusalemme' ", la cronaca di Giordano Stabile.
A destra: Abu Mazen
Le parole di Abu Mazen esprimono odio contro Israele e la mancanza di alcuna volontà di giungere a un compromesso accettabile per tutte le parti coinvolte nel conflitto arabo-israelo-palestinese. Sui telegiornali ieri sera è stato dato largo spazio alle sue parole, senza però che mai venissero chiamati esperti a commentare, lasciando quindi il palcoscenico interamente alle dichiarazioni del dittatore dell'Anp. Quelle di Abu Mazen sono state riportate come dichiarazioni di un normale capo di Stato, mentre rivelano l'intenzione della distruzione di Israele, in linea con i propositi dei terroristi di Hamas e degli eredi dell'Olp, presentati a torto dai media come "moderati" e interlocutori affidabili. Ecco il vero volto di Abu Mazen, che emerge con chiarezza nel pezzo di Giordano Stabile.
Nessuno degli "esperti" ha sottolineato l'accoglienza attenta e positiva da parte dei Paesi sunniti - Egitto, Arabia Saudita, Emirati, Marocco ecc. - del piano di pace proposto da Donald Trump. Questa è la vera notizia: la divisione nel mondo arabo nei confronti della realtà araba palestinese. Da una parte i Paesi pragmatici e realisti, dall'altra quelli che inseguono il fanatismo, dalla Turchia di Erdogan al Qatar. Perfino l'Iran, pericolo numero uno per il mondo libero in Medio Oriente, sulla questione si è espresso finora scegliendo il basso profilo.
Ecco l'articolo:
Giordano Stabile
Abu Mazen chiude la porta al piano di pace di Donald Trump e annuncia la rottura di «tutti i rapporti con gli Stati Uniti e Israele». È lo sviluppo più importante della riunione di emergenza dei Paesi arabi ieri al Cairo. Il presidente palestinese era in rotta con la Casa Bianca da tempo, dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale unica dello Stato ebraico, ma adesso ha voluto dare la massima enfasi allo scontro con Washington, ed escluso in maniera categorica la possibilità di riaprire un negoziato, non fosse altro per migliorare la proposta statunitense. Il perché, ha spiegato, sta nel fatto che non vuole «essere ricordato come colui che ha venduto Gerusalemme». La Città Santa, ha precisato, «non è mia ma di tutti» e in questo si è rivolto ai «fratelli» della Lega araba, per ricordare che la sconfitta dei palestinesi sarebbe una sconfitta collettiva. Il piano americano concede loro soltanto il piccolo sobborgo di Abu Dis, e nel complesso i due terzi della Cisgiordania che però, ha sottolineato ancora il raiss, rappresentano appena «il 22% della Palestina storica», cioè del territorio sotto mandato britannico, poi diviso fra ebrei e palestinesi dall'Onu nel 1947.
Benjamin Netanyahu
«Combatteremo per evitare che il piano americano diventi una formula legittima adottata dalla comunità internazionale», ha continuato il leader palestinese. Poi ha rivelato di «aver incontrato Trump quattro volte» ma senza «alcun progresso». Il leader palestinesi ha deciso di rivolgersi al Consiglio di Sicurezza dell'Onu per presentare «un piano alternativo». Ci sarà il veto degli Usa e la richiesta passerà quindi all'Assemblea generale, dove Abu Mazen spera di avere una tribuna mondiale per isolare Israele. Il problema è che a seguirlo non sono neppure tutti gli Stati arabi. Emirati, Bahrein, Egitto hanno detto di sì al piano e invitato ad aprire «negoziati diretti», e anche l'Arabia saudita ha espresso una posizione positiva, anche se ha ribadito l'appoggio ai «giusti diritti» dei palestinesi. Il raiss ha voluto precisare che Re Salman gli ha assicurato che «sta sempre con i palestinesi». Abu Mazen ha poi incontrato anche il presidente egiziano Al-Sisi. Alla fine la Lega araba ha condannato il piano come «ingiusto perché non rispetta i diritti e le aspirazioni fondamentali del popolo palestinese» e ha invitato i Paesi membri a «non collaborare con l'Amministrazione americana». I diplomatici arabi hanno insistito sulla necessità di una soluzione a due Stati, compreso uno palestinese nei confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale.
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