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Ha parlato Trump e il cielo non è crollato
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
Benjamin Netanyahu, Donald Trump La tanto attesa levata di scudi non c’è stata. Né si è fatta sentire alcuna riprovazione unanime da parte delle grandi cancellerie occidentali. Le istituzioni internazionali non condannano, non commentano e si accontentano di un cauto riepilogo delle loro dichiarazioni precedenti, menzionano la necessità di una soluzione a due Stati, il rispetto dei diritti dei palestinesi. Soprattutto i Paesi arabi, tradizionali difensori della causa palestinese, dimostrano una straordinaria riservatezza. Le monarchie sunnite accolgono con favore gli sforzi di pace del Presidente americano; secondo Le Monde del 29 gennaio l’Egitto, per voce del suo Ministro degli Esteri, Shukri Samar, ha invitato "le parti interessate ad esaminare in modo attento e meticoloso la visione americana per il raggiungimento della pace e aprire i canali di dialogo per la ripresa dei negoziati, sotto l'egida degli Stati Uniti ”. È un commento simile a quello rilasciato dagli Emirati Arabi Uniti. La Giordania, che ovviamente non apprezza per nulla “l’accordo del secolo”, chiede negoziati diretti. Giustamente i media concordano nell’affermare che il piano di Trump resterà lettera morta, sottolineando in coro, come Le Figaro, che "i palestinesi non sono stati coinvolti nei negoziati". Questi stessi media però si guardano bene dal dire che se non sono stati presenti ai negoziati, non è stato per mancanza di invito. E’ da anni che gli israeliani invitano i leader di Ramallah a sedersi al tavolo dei negoziati. Anche in passato hanno compiuto lodevoli sforzi in questa direzione, fino ad arrivare, durante la presidenza di Obama, al congelamento degli insediamenti per un anno, come segno di buona volontà. Tutto inutile. Anche gli americani ci hanno provato. L'Autorità palestinese li ha boicottati. L’onorevole Abu Mazen, il cui mandato presidenziale è scaduto da tempo, si rifiuta di rispondere al cellulare quando il Presidente Donald Trump cerca di raggiungerlo. L’onorevole Abu Mazen non esita a chiamare l'inquilino della Casa Bianca con appellativi come "cane, figlio di cane" e persino "maiale" non solo in privato ma anche durante gli incontri ufficiali. E’ ovvio che abbia il sostegno entusiasta di Hamas, il cui statuto postula specificamente la distruzione dello Stato ebraico; ed anche il supporto di Hezbollah e del suo capo iraniano, entrambi determinati a cancellare questo Stato dalla carta geografica. Ma il resto del mondo si è stancato delle rodomontate di questo vecchio leader, e probabilmente anche del suo entourage corrotto. E’ stanco di questi dirigenti che, per usare l'espressione di uno dei più grandi diplomatici che Israele abbia mai avuto, Abba Eban, "non perdono mai l'occasione di perdere un'occasione". Gli arabi – allora non si parlava ancora di palestinesi - rifiutarono il Piano Peel del 1937 e il Piano di Spartizione dell’ONU del 1947. Dal 1949 al 1967 si son ben guardati dall’istituire uno Stato in Cisgiordania, Stato che avrebbe compreso Gerusalemme Est, tutti i territori allora annessi dalla Transgiordania in barba a questo famoso diritto internazionale di cui tanto si parla. Nel 1967, dopo la Guerra dei Sei Giorni, i Paesi arabi riuniti a Khartum respinsero l'offerta israeliana di evacuare i territori conquistati in cambio della pace. Successivamente i palestinesi hanno respinto le proposte fatte a Camp David, poi quelle di Ehud Barak allora Primo Ministro, e quelle ancora più generose di Ehud Olmert. Accecati dalla loro viscerale opposizione a qualsiasi riconoscimento del loro vicino ebreo, ancora non hanno capito che la loro politica è suicida. La maggior parte dei Paesi arabi ha invece tratto la conclusione.
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