Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/01/2020, a pag.18, con il titolo "La sfida di Rohani: pronto a lasciare se non dite la verità sul jet abbattuto", il commento di Francesca Paci.
La ricerca di un capro espiatorio da parte del regime criminale di Teheran dopo l'abbattimento dell'aereo ucraino e l'uccisione di tutti i passeggeri è in linea con la politica di una dittatura come quella sciita iraniana. E' il regime nel suo complesso che dovrebbe salire sul banco degli imputati, troppo comodo identificare uno o pochi responsabili di un disastro aereo senza precedenti.
Ecco l'articolo:
Francesca Paci
L'11 gennaio, dopo tre giorni di smentite, Teheran ammetteva di aver abbattuto per sbaglio il Boeing ucraino precipitato il mercoledì precedente poco dopo il decollo dall'aeroporto della capitale, spiegando di averlo scambiato per un jet statunitense all'attacco delle basi iraniane. Cosa è accaduto nelle frenetiche 72 ore in cui sui social è dilagata la paura della terza guerra mondiale, l'epilogo dell'escalation cominciata con l'assassinio del generale dei pasdaran Soleimani? Il «New York Time»s ricostruisce adesso quei momenti densi di storia, con il presidente Rohani che, insolitamente duro, denunciava come «imperdonabile» l'errore e le piazze raccolte per piangere le 176 vittime che, una dopo l'altra, volgevano il dolore in protesta contro il regime.
È proprio nel tono del Capo dello Stato, l'ala riformista-realista del sistema degli ayatollah, che pare vada cercata la chiave di volta. Secondo i dettagli messi insieme dal quotidiano americano incrociando le testimonianze di diplomatici e insider iraniani, sembra che il comandante della Guardia Rivoluzionaria responsabile dell'abbattimento (arrestato negli ultimi due giorni) abbia chiesto invano l'autorizzazione prima di decidersi a pigiare il pulsante fatale, che abbia capito nel giro di pochi minuti di non aver colpito l'obiettivo giusto e che, a disastro avvenuto, l'abbia comunicato in tempo reale ai superiori. Inutilmente, però. Perché la linea dettata dalla Guida Suprema Khamenei era sul principio di negare a oltranza.
Rohani però, informato in seconda battuta, avrebbe minacciato le dimissioni se il governo non avesse raccontato la verità. Un ultimatum: il chiarimento o la crisi di governo.
Per quanto in queste ore Teheran rivendichi il proprio tempismo nel fare chiarezza, il quadro che viene a delinearsi mostra una spaccatura profonda nel regime degli ayatollah, che spiega anche due punti apparsi subito strani. Da un lato il silenzio iniziale di Rohani seguito dalla sua successiva veemenza. Dall'altro la tempistica relativamente breve con cui Teheran ha fatto «mea culpa» dopo un iniziale muro di gomma opposto ai familiari dei passeggeri che chiedevano informazioni. Era stato lo stesso «New York Times», a 24 ore dall'abbattimento del Boeing, a mostrare il video, ritenuto attendibile, con il momento in cui il missile centrava l'aereo e lo faceva esplodere, smentendo cosi la versione iniziale del guasto tecnico.
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