Questo libro trae spunto dal ricordo di un amico e dai racconti che il nonno di questi soleva fare sui propri antenati, risalendo di generazione in generazione fino all'anno Mille. Questo libro, sfociando nella tragedia dell'Olocausto, fa di questo fatto storico l'ultimo atto del lungo percorso dell''essere' ebraico e di una continuità storica che era soprattutto continuità spirituale. Il legame tra passato e presente, il filo unico di questa continuità, è affidato alla 'leggenda dei giusti', uomini che assumono su di sé la sofferenza degli altri, rendendone possibile la sopravvivenza in un mondo carico di dolore.
"Il sole, sorgendo sopra un villaggio polacco o lituano, più non incontrerà alla finestra un vecchio ebreo che biascia salmi e un altro che s'avvia alla sinagoga" (Isaac Katznelson, Canto del popolo ebraico assassinato)
"Sotto le nereggianti volte dell'alba, quel piazzale calpestato da centinaia di piedi ebraici non sembrava reale. Presto però l'occhio avido di Erni colse particolari allarmanti: qua e là, sul terreno frettolosamente scopato giacevano ancora oggetti abbandonati, fagotti di indumenti, valigie spalancate, pennelli da barba, pentolini smaltati...."
"Ascoltavano senza capire: un'ombra di sorriso correva sulle loro labbra martoriate"
Questo di Schwarz Bart, un autore che Elie Wiesel nelle sue memorie festeggia con sentita partecipazione e rinnovato interesse, è un libro intenso, malinconico, narra della persistenza della parola, echeggia il grido ricacciato in gola dei deportati, le vittime di ogni dove del totalitarismo. E' malinconica la scrittura, la sua musica intrinseca, perchè "questa storia non finirà su una tomba che un giorno andremo memori a visitare", ed è forse questa la cosa più terribile, che i cari, i parenti di chi non c'è più, non hanno avuto nemmeno la possibilità di recitare il kaddish per di defunti. Paul Celan lo sapeva bene, intuì la terribile inconsistenza di una morte resa cenere, trasparente, una "montagna" come la chiama lui, la Niemandrose.