Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 25/01/2020, a pag. 11 con il titolo 'Putin sta creando il suo Consiglio di Stato per restare a vita al potere, ma nell'ombra' l'intervista di Gianni Vernetti a Mikhail Khodorkovsky.
Gianni Vernetti
Mikhail Khodorkovsky
Mikhail Khodorkovsky, 56 anni, è stato a capo di Yukos, uno delle più grandi aziende russe e fra le prime al mondo nel settore petrolifero. Nel 2001 ha promosso la Fondazione «Open Russia» con l'obiettivo di sostenere le forze democratiche e della società civile, criticando corruzione ed inefficienza del regime. Ed è in quel momento che la sua strada inizia a divergere da quella di Putin. In breve tempo, uno degli uomini più ricchi e noti della Russia diventa una minaccia per il regime. Viene arrestato nel 2003 per frode fiscale, reato da lui sempre negato, e passa 10 anni in carcere. Il 14 gennaio di quest'anno la Corte Europea dei Diritti Umani ha ritenuto il processo ai suoi danni non aderente agli standard internazionali con una palese violazione dell'Art.7 della Convenzione Europea sui Diritti Umani. Compare raramente in pubblico e ha accettato di raccontare a La Stampa la sua visione sul futuro della Russia nella sede di Londra della sua fondazione.
In Russia si torna a parlare di una ennesima riforma costituzionale proposta dal Presidente Putin.
Dove sta andando la Russia all'inizio degli anni '20?
«Il Presidente Putin ha un obiettivo molto chiaro: rimanere al potere il più lungo tempo possibile e per raggiungere questo obiettivo ha tre opzioni».
Ci racconti.
«La prima, l'unione fra la Federazione Russa e la Repubblica di Bielorussa; la seconda, lasciare l'attuale carica di Presidente e assumere il controllo di un nuovo organo dello Stato dal quale continuare a esercitare il suo potere indisturbato; la terza modificare nuovamente la Costituzione eliminando ogni limite di mandato».
Vladimir Putin davanti a un ritratto di Stalin
Dittature e limiti di mandato raramente sono compatibili.
«Certo che non lo sono! Per Putin sarebbe un azzardo tentare questa strada, soprattutto alla luce dei sondaggi di gradimento in costante discesa. Il Presidente bielorusso Lukashenko, poi, pare sia poco interessato a perdere la sovranità nazionale del suo Paese. Credo quindi che Putin opterà per la seconda opzione: una riforma costituzionale truffaldina, mettendosi a capo del nuovo "Consiglio di Stato" con nuovi e larghi poteri».
Crede quindi che ci sia il rischio di un ulteriore peggioramento degli standard democratici in Russia?
«Sì. Il regime che Vladimir Putin ha consolidato e rafforzato in questi anni è una sorta di "Fascismo 2.0": assenza di stato di diritto, corruzione endemica e diffusa, uccisioni extragiudiziali degli oppositori politici; assenza di separazione fra i poteri dello Stato; rapporti opachi e criminali fra lo Stato e settori importanti dell'economia».
Lei è stato a lungo in prigione. Qual è la condizioni degli oppositori politici incarcerati oggi in Russia.
«Oggi ci sono circa 400 prigionieri politici in Russia. E le tecniche per condannare gli oppositori del regime non sono cambiate dallo scorso secolo: ci sono scienziati condannati con la scusa di avere violato segreti di Stato; intellettuali e artisti accusati di uso illegittimo di fondi pubblici; uomini di affari accusati di frode fiscale; giornalisti colpevoli di fornire informazioni sui casi di corruzione».
Qual è la sua visione sul futuro della Russia? Ci sono possibilità di cambiamento?
«Quando sono stato rilasciato dal carcere nel 2013, la Russia era ancora un Paese generalmente compatibili con i valori europei. Poi a partire dall'annessione della Crimea ha intrapreso una strada drammaticamente differente. Credo però che questo regime non abbia più di 5-10 anni di vita. La corruzione e l'assenza di "governance" rendono difficile per la Russia tornare a crescere oltre l'1-2%. Le recenti elezioni municipali a Mosca sono state un primo e chiaro campanello d'allarme».
Prevede quindi una Russia senza Putin?
«Si, e in più ciò di cui abbiamo bisogno è una Russia fortemente federale, decentralizzata e fondata su una democrazia parlamentare. L'idea del regime di governare allo stesso modo la Russia fra San Pietroburgo e Vladivostock è irrealistica. La Russia è un grande Paese, con mille diversità che vanno valorizzate, non semplificate».
Ci può dire qualcosa sulla nuova e assertiva politica estera russa: la Crimea, il Donbass, la Siria e ora la Libia?
«Putin ha una strategia semplice: mantenere un elevato tasso di instabilità e quando percepisce un elemento di debolezza dell'Occidente, agisce anche con lo strumento militare. E' accaduto in Crimea e nel Donbass e poi nuovamente in Siria in seguito al disimpegno americano. È un atteggiamento banditesco».
Crede possibile una nuova alleanza strategica fra Russia e Cina?
«Putin ci ha provato, ma non ha funzionato. Non c'è nessun interesse di lungo periodo per la Russia ad un alleanza con la Cina. La Russia è un Paese europeo per cultura, storia e mentalità. Il nostro posto oggi e in futuro è certamente in Europa».
Crede che l'Europa dovrebbe fare di più per avvicinare la Russia all'occidente?
«Non le dirò nulla di nuovo. Bisogna ripartire dal "Processo di Helsinki" , quello è stato il percorso migliore che ha portato pace e stabilità in Europa: promuovere il rispetto dei diritti umani e la difesa delle libertà fondamentali; affermare l'integrità territoriale degli Stati; rifiutare il ricorso della forza. La Russia, prima in Georgia e poi in Ucraina, ha violato quei principi».
Pensa di essere direttamente coinvolto in politica? Intende candidarsi a qualche carica istituzionale?
«Non è fra i miei obiettivi. Sto dedicando tutte le mie energie per aiutare il mio Paese a tornare su un cammino europeo. Per questo con la fondazione ""Open Russia" stiamo dedicando risorse ed energie per sostenere le iniziative della società civile russa e per formare una nuova generazione di leader politici democratici. Il mio secondo impegno è poi dedicato alla difesa dei diritti umani in Russia e a fornire assistenza legale a chi è perseguito. Vede, ho passato dieci anni della mia vita, fra i 40 e i 50 anni, in diverse prigioni in Russia: Mosca, Karelia, Chita, poi in Siberia al confine con la Mongolia. Far sapere a chi è ingiustamente detenuto che non è abbandonato è molto importante».
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