Riprendiamo da SHALOM novembre/dicembre 2019 a pag.20 con il titolo "Il fascismo è morto, i fascisti no" l'intervista di Iaia Vantaggiato a Emilio Gentile.
Emilio Gentile
Professore emerito dell’Università di Roma La Sapienza e tra i principali studiosi del fascismo, Emilio Gentile ha da poco pubblicato per le Edizioni Laterza un volume titolato “Chi è fascista”. Da qui partiamo per rivolgergli alcune domande.
Professor Gentile lei sostiene che oggi, in Italia, non si possa parlare di un ritorno al fascismo. No, se per ritorno al fascismo s’intende la riproposizione - in politica - di aspetti tipici del fascismo storico: partito armato, regime totalitario, culto del capo, politica bellica imperialista. E di “ritorno” non si può parlare anche perché i neofascisti in Italia ci sono dal 1946.
La copertina (Laterza ed.)
Eppure c’è chi - come Umberto Eco - ha parlato di un ”eterno ritorno del fascismo”. Nella storia non esistono fenomeni eterni. Se esistesse un fascismo eterno, allora dovrebbe esistere anche un liberalismo eterno o un marxismo eterno. Ma nulla di ciò che nasce nella storia può avere carattere di eternità. E se il fascismo è eterno, allora dobbiamo dedurne che l’antifascismo è eternamente sconfitto.
Però il proliferare di croci uncinate, braccio alzato e immagini del Duce è attuale e reale. Nostalgia, folklore o pericolo? È un fenomeno presente da settanta anni in Europa. Attribuire l’eternità al fascismo potrebbe favorire la sua suggestione mitica fra i giovani. Il fascismo ha sempre asserito il primato del pensiero mitico su quello critico-razionale. Molti giovani che a questa mitologia si ispirano non sanno nemmeno di cosa parlano. Si ritengono eredi del fascismo del ’19 convinti che quello fosse rivoluzionario e anticapitalista: ma così non era. E non fu neanche tutto antimonarchico.
Scusi se insisto ma, secondo lei, fenomeni quali il populismo, l’ostilità nei confronti degli immigrati, la difesa della sovranità nazionale, il disprezzo per la democrazia parlamentare non si basano forse su quegli stessi principi che caratterizzarono l’esperienza fascista? No, perché tali fenomeni esistevano prima del fascismo, sono sopravvissuti al fascismo e, addirittura, sono stati molto spesso presenti nelle democrazie. Se noi pensiamo a tutti i fenomeni che oggi vengono identificati col fascismo - anti- parlamentarismo, razzismo, antisemitismo, nazionalismo, imperialismo, culto del capo - sono già presenti nella Francia della III Repubblica.
Non mi arrendo. Salvini che afferma: “Gli italiani prima di tutto”. Non è questa espressione di un nazionalismo di stampo fascista? Non mi propongo affatto di indurla a una resa, ma solo esporre le mie osservazioni di storico. Anche il nazionalismo nasce prima del fascismo e gli sopravvive. Si immagina il presidente Macron che dice: “I francesi dopo tutti”. Sono state proprio le prime nazioni democratiche - gli Stati uniti d’America, la Repubblica nata dalla Rivoluzione francese - a inventare il nazionalismo come ideologia che avrebbe dovuto rafforzarle. Non a caso, in inglese, il termine Nationalism indica sia il nazionalismo che si vuole imporre con l’autorità sia quello di chi ritiene di appartenere ad una collettività che ha caratteristiche storiche, ideologiche, religiose o etniche comuni.
Ma nemmeno del razzismo, della caccia all’immigrato si può dire che siano due eredità del Ventennio? Il razzismo, come il nazionalismo, è sta- to generato all’interno delle democrazie americane, francesi ed inglesi prima di mettere piede e svilupparsi in Germania ed in Italia. Nell’Italia fascista non c’era la caccia all’immigrato perché non ce n’erano.
Ma la caccia all’immigrato è razzismo o non è razzismo secondo lei? Non sempre. Infatti, può essere determinata non dall’odio nei confronti di una razza diversa ma dalla paura che qualcuno venga a toglierti il lavoro. Gli immigrati dell’Europa orientale, spesso percepiti come pericolosi criminali, sono osteggiati al pari degli immigrati dall’Africa.
Ci sarà pur qualcosa che caratterizza in modo specifico l’esperienza fascista e sulla quale dobbiamo mantenere l’allerta. La caratteristica peculiare del fascismo fu di costituirsi come partito armato per impossessarsi del potere col preciso intento e l’esplicita volontà di distruggere la democrazia parlamentare. Il Movimento sociale italiano per quasi quattro decenni è stato rappresentato in parlamento. Oggi non c’è più, si è dissolto da un quarto di secolo. Quanto a mantenere l’allerta, dovremmo esserlo dal 1952, quando fu varata la legge che vieta la ricostituzione del partito fascista, l’apologia del fascismo e il ricorso a simboli e metodi fascisti.
E lei è proprio convinto che nessuno sia di nuovo intenzionato a fare di quell’”aula sorda e grigia” un bivacco per i suoi manipoli? Mussolini lo minacciò, ma non lo fece. Non vedo oggi un capo di partito che sia pronto a pronunciare la stessa minaccia, e ancor meno a metterla in pratica.
Senza arrivare all’orbace, che ne pensa invece del modo in cui Matteo Renzi, nel suo primo discorso da Presidente del Consiglio, si rivolse con toni oltremodo sprezzanti al Senato? Chi sospetta che il fascismo possa ritornare sotto altre spoglie, avrebbe potuto sentire nella parole e nell’atteggiamento di Renzi un’eco del discorso mussoliniano alla Camera, ma neppure Mussolini osò dire al Senato le stesse cose che Renzi disse ai senatori, annunciando che la loro era l’ultima legislatura del Senato come era stato fin dal 1946.
Il sociologo francese Pierre Bourdieu parla di “fascismo democratico”, Orban di “democrazia illiberale”. Non le mettono un po’ paura queste espressioni? Dire che c’è un “fascismo democratico” equivale a dire che c’è un “nazismo filo- semita”, un “comunismo privatizzatore”, un “cristianesimo pagano”. Altra cosa è la “democrazia illiberale”, perché la democrazia, come potere del popolo, non è necessariamente liberale. Con il potere del popolo espresso attraverso una maggioranza parlamentare, si possono promulgare leggi che limitano o sopprimono le libertà civili e politiche di chi a tale maggioranza si oppone. Qualsiasi partito che riconosca la democrazia - cioè il principio della sovranità popolare - come base del proprio potere non può definirsi fascista perché il fascismo, storicamente, ha come caratteristica essenziale la negazione totale della sovranità popolare. Una negazione dichiarata e non semplicemente supposta dallo storico. Il fascismo è stato una rivoluzione contro la rivoluzione francese e la sua eredità; una rivoluzione totalitaria contro il principio illuministico della libertà dell’individuo. Ciò che accade oggi, con i partiti e i governi cosiddetti populisti, è un fenomeno completamente nuovo perché non mette in discussione la democrazia come sovranità del popolo.
Che differenza c’è tra sovranità popolare e sovranismo? In realtà nessuna. Il sovranismo è una sorta di mescolanza tra ragion di stato e nazionalismo. Il sovranismo è inteso oggi come una riaffermazione della sovranità dei singoli Stati contro il processo di integrazione europea delle sovranità dei singoli Stati. Ma sinora nessuno dei singoli Stati ha ceduto la propria sovranità pur avendo accettato degli accordi che ne limitano alcune politiche. L’ismo è un’aggiunta alla moda, per esasperare l’avversione contro l’europeismo.
Lei dice che la specificità del fascismo sta nell’essersi costituito come partito armato e di aver usato la violenza come metodo di risoluzione dei conflitti politici. Non crede che, oggi, alla violenza dello squadrismo si sia sostituita una violenza mediatica sempre più virulenta? L’uso dei mezzi mediatici come se fossero un manganello non è purtroppo esclusiva dei neofascisti.
Però lei nel suo libro dà una definizione di “Chi è il fascista” È una definizione che condensa in parole una realtà storica, non una essenza eterna. Lo stesso potrei dire scrivendo un libro su “chi è cristiano”, non è che possiamo immaginare un cristiano avulso dalla storia e dalla storia del cristianesimo. Lo stesso vale per l’ebraismo o l’islamismo. Io non mi pongo la domanda “cos’è il fascismo”, ma “cosa è stato il fascismo”. E che cosa questa esperienza storica, conclusa definitivamente con la sua disfatta nel 1945, ha rappresentato per la storia italiana.
Insomma, c’è un evidente abuso del termine fascista? È un abuso che risale al tempo stesso del fascismo, e anche prima. Piero Gobetti nel 1918 chiamava fascisti i deputati del Fascio parlamentare. E prima ancora c’era- no stati i “fascisti” dei Fasci siciliani alla fine dell’Ottocento. È diventato un insulto universalmente diffuso perché durante la II Guerra mondiale tutto il mondo si è unificato in uno scontro epocale e mortale tra fascismo e antifascismo. Fascista è chi non la pensa come me, o chiunque usi la violenza per imporre le proprie idee. Nel 1924, Antonio Gramsci chiamò “semifascisti” Luigi Sturzo, Giovanni Amendola e Filippo Turati. Per Togliatti, nel ’31, era fascista anche Carlo Rosselli. Sino al 1934 i comunisti considerarono i socialisti e i socialdemocratici come fascisti peggiori dei nazisti. E questo facilitò l’ascesa al potere di Hitler.
Dunque secondo Lei la democrazia non corre oggi alcun pericolo? Non ho detto questo. Ritengo però che il vero pericolo, per la democrazia rap- presentativa, così come è descritta nella nostra Costituzione e nella Dichiarazione universale dei diritti umani che è la più solenne proclamazione dell’ideale democratico, cioè rimuovere tutte le discriminazioni fra i cittadini. Il pericolo oggi è la democrazia ridotta a metodo, senza ideale democratico.
Torniamo alla minaccia, o alla assenza di minaccia, fascista oggi. L’attentato alla sinagoga di Halle nel giorno di Kippur è stato fatto da un nazista antisemita... L’antisemitismo non è necessariamente fascista. Ci sono fenomeni di rinascita dell’antisemitismo in gran parte legati al fatto che esiste lo stato di Israele. Intendo dire che diventa sempre più facile diffondere l’antisemitismo confondendolo con l’opposizione alle politiche dello stato di Israele o dei governi israeliani. L’antisemitismo può essere e spesso è stato anche democratico. Il problema non riguarda solo gli ebrei. Una democrazia senza ideale democratico minaccia chiunque voglia sviluppare la propria personalità in dignità e libertà.
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