Libano: ancora scontri a Beirut, oltre 400 feriti Cronaca di Giordano Stabile
Testata: La Stampa Data: 20 gennaio 2020 Pagina: 17 Autore: Giordano Stabile Titolo: «Violenti scontri nelle proteste anti-governo. Oltre 400 feriti»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/01/2020, a pag.17, con il titolo "Violenti scontri nelle proteste anti-governo. Oltre 400 feriti", la cronaca di Giordano Stabile.
Giordano Stabile
Le proteste a Beirut
Per la seconda notte di seguito migliaia di manifestanti hanno cercato di sfondare il cordone di sicurezza attorno a Place de l'étoile, davanti a un Parlamento sempre più sott'assedio. Polizia e militari hanno risposto con raffiche di candelotti lacrimogeni e ancora i cannoni ad acqua, piazzati su due blindati speciali, sotto una pioggia di pietre e detriti lanciati da giovani con passamontagna e kefiah per coprire i volti. La rivoluzione libanese si incattivisce. Lo stallo politico comporta il prezzo di un'economia asfissiata, con le banche che consentono prelievi con il contagocce, i trasferimenti all'estero impossibili e le aziende che non sanno più come importare i beni necessari. Il risultato è la chiusura di migliaia di piccoli esercizi e una disoccupazione che avrebbe raggiunto il 30 per cento.
La popolazione esasperata Il Libano affonda giorno dopo giorno e la gran massa della popolazione è esasperata. Anche se condanna i vandalismi che accompagnano le proteste, la sfiducia nei politici è totale. «Non si torna indietro», la rivoluzione va avanti, era lo slogan di ieri sera. Gli scontri hanno causato subito decine di feriti, soprattutto intossicati dalla coltre di lacrimogeni che avvolgeva Piazza dei Martiri, la «Shuhada». Sabato erano stati 400, di gran lunga il numero più alto da quando è cominciata la rivolta, l'Intifada del 17 ottobre. Fra loro anche molti agenti e militari contusi. Ieri mattina attorno alla piazza era una distesa di vetri rotti e detriti, resti carbonizzati di alcune tende dell'accampamento rivoluzionario, installato sul modello di quello di piazza Tahrir al Cairo nel 2011 Le vetrine di banche e assicurazione distrutte, i bancomat spaccati, una rabbia che si rivolge soprattutto contro il sistema finanziario, una volta motore dell'economia, capace di piazzare il Libano fra i Paesi a medio reddito, con 14 mila dollari annui pro capiti, il triplo di una nazione petrolifera come l'Iraq. Ma era un castello di carte, basato su un deficit del 10 per cento all'anno, un debito pubblico del 150 per cento, la spartizione clientelare sistematica fra le 18 sette religiose del Paese, 11 cristiane. Adesso le banche, costrette a contribuire all'abbattimento del deficit, hanno reagito strangolando correntisti e aziende. La «rivoluzione» ripete il mantra del «governo tecnico» che dovrebbe compiere il miracolo. La classe politica gli ha offerto un premier incaricato «professore», il vicepresidente dell'American University of Beirut Hassan Diab, prigioniero però dei veti incrociati delle vecchie volpi politiche. L'esecutivo è nelle more, oggi parlerà il presidente Michel Aoun. Nessuno si fa illusioni.
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