Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/01/2020, a pag.24, con il titolo "Dagli Egizi agli emoji viaggio nella scrittura che vive di immagini" il commento di Fabiana Magrì.
Fabiana Magrì
Tra un diciottenne che oggi si prepara per l'esame di Maturità e un giovane uomo di quell'età che nell'Antico Egitto sarebbe già potuto diventare faraone sono trascorsi 5000 anni e la profondità del divario culturale è tale che non si può misurare. Eppure, per entrambi, il disegno di due braccia allargate con i palmi rivolti verso l'alto richiama una scrollata di spalle, l'equivalente di «boh!».
Come lo sappiamo? Il geroglifico che indica il «non sapere» è molto simile all'emoji usato con quello stesso significato in una qualunque chat di Whatsapp, anche se è improbabile che il designer ne fosse consapevole. «In termini di aspetto - spiega Shirly Ben-Dor Evian, curatrice di archeologia egizia all'Israel Museum di Gerusalemme - non può sfuggire la somiglianza sorprendente tra alcuni pittogrammi nei due sistemi». In effetti è proprio grazie a questa affinità visiva che l'egittologa israeliana oggi può rispondere a una delle domande più frequenti che le vengono poste: «È difficile leggere i geroglifici?». «In passato - ammette Ben-Dor Evian - mi sono spesso trovata a rispondere che qualsiasi tentativo di spiegare i principi del sistema di scrittura geroglifico ai non egittologi sarebbe stato destinato a fallire. Oggi mi pare che il divario tra noi e gli antichi egizi si stia riducendo».
I manufatti
Negli ultimi dieci anni la comunicazione visiva è diventata accessibile a chiunque possieda uno smartphone. «La diffusione d'immagini, in particolare emoji, nella comunicazione digitale mi ricorda il modo in cui i geroglifici venivano usati nell'antico Egitto».
Da qui la sua idea della mostra «Emoglyphs. Scrittura ideografica dai geroglifici agli emoji», allestita fino al 12 ottobre 2020 in una piccola sala espositiva all'ingresso del vasto padiglione di archeologia, nel più importante museo di Israele, a Gerusalemme. Zigzagando tra le pareti che corrono lungo le diagonali della sala - richiamo alla pianta delle Piramidi - si possono osservare centinaia di geroglifici su oltre 60 manufatti egizi della collezione dell'Israel Museum (molti esposti per la prima volta) e su altri oggetti in prestito da collezioni private.
La chiave di lettura della mostra non parte da ricerche contemporanee per decifrare il passato. Piuttosto, viceversa. «Nel tentativo di indagare i principi di base degli emoji nel XXI secolo, fenomeno relativamente nuovo, mi sono chiesta se l'antico sistema di scrittura egizio potesse far luce sul modo in cui usiamo, più o meno consciamente, tutte queste icone, oggi, nella scrittura».
Un viaggio semiologico dalla Stele di Rosetta al Cloud. «I geroglifici - spiega l'egittologa - erano considerati così potenti da attivare processi magici, come la capacità di animare l'inanimato. L'ossessione per i "geroglifici erranti" tormentò in particolare, per ragioni sconosciute, la fine della dodicesima e l'inizio della tredicesima dinastia di faraoni (XX - XIX secolo a.C.). Tanto che scarabei, uccelli e serpenti erano rappresentati intenzionalmente mutilati in modo che non potessero allontanarsi dalle iscrizioni su sarcofagi e stele». Oggi come allora, quando un'immagine sostituisce la parola scritta, acquista potenza. Nel 2016, per esempio, Apple ha sostituito l'emoji «pistola» con un'arma giocattolo verde fluorescente. L'immagine di una pistola è molto più intimidatoria del suo lemma, tanto che i tribunali americani avevano iniziato a giudicare l'emoji dell'arma al pari di una minaccia di morte.
Gli adesivi
Gli «Emoglyphs» del titolo della mostra sono anche un set di stickers originali - disponibili per dispositivi Android - creati dal Museo di Israele in occasione della mostra, un modo per familiarizzare con i geroglifici. A chi lamenta che l'attuale evoluzione del linguaggio sia in realtà un'involuzione, Shirly Ben-Dor Evian ricorda che i geroglifici sono stati in uso presso gli antichi Egizi per tre millenni, sono oggetto di studio approfondito ormai da due secoli e sono custoditi come opere d'arte nei più importanti musei del mondo. Gli emoji invece sono comparsi vent'anni fa, esistono pochi studi pionieristici sulla loro semiotica eppure già nel 2016 il MoMa di New York ha acquisito il primo set di emoji originali disegnato nel 1999 dal giapponese Shigetaka Kurita. «Stiamo tornando ai geroglifici? - si chiede Ben-Dor Evian -. Se anche fosse, chi può dire che sia davvero un declino culturale?».
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