Iran, continuano le proteste anti-regime. Gli ayatollah rispondono con menzogne e violenza Cronaca di Giordano Stabile, analisi di Daniele Raineri
Testata:La Stampa - Il Foglio Autore: Giordano Stabile - Daniele Raineri Titolo: «Iran, gli studenti non cedono. Agenti in affanno: mai sparato - Il regime iraniano non si è ricompattato, anzi è sempre più compromesso»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/01/2020, a pag. 13, con il titolo "Iran, gli studenti non cedono. Agenti in affanno: mai sparato", la cronaca di Giordano Stabile; dal FOGLIO a pag.1 l'analisi di Daniele Raineri "Il regime iraniano non si è ricompattato, anzi è sempre più compromesso".
A destra: la protesta degli studenti a Teheran
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Giordano Stabile: "Iran, gli studenti non cedono. Agenti in affanno: mai sparato"
Giordano Stabile
Per la terza sera consecutiva ieri i giovani di Teheran si sono radunati davanti alle università e hanno marciato verso piazza Azadi. La protesta continua a crescere, nonostante la morsa delle forze di sicurezza, e dei Basij, i «volontari» incaricati di reprimere il dissenso nella Repubblica islamica. Anche ieri ci sono state cariche e lancio di lacrimogeni. Il regime sembra però esitare nell'uso della violenza brutale che ha stroncato l'ultima rivolta, lo scorso 15 novembre. Come per l'abbattimento del Boeing ucraino, che ha innescato la rabbia popolare, cerca di arroccarsi e negare. Ieri mattina il capo della polizia di Teheran, Hossein Rahimi, ha smentito che i suoi uomini abbiamo sparato sui manifestanti. «Tutti hanno trattato le persone che si erano radunate con pazienza e tolleranza». Poi ha minacciato «coloro che intendono manipolare la situazione», cioè denunciare repressione, di «conseguenze». Rahimi ha rivelato anche che le autorità hanno dato ordine agli agenti di «contenersi», un segno opposto a quello dato a novembre, segno che temono il giudizio internazionale. La congiuntura è particolare. L'uccisione del generale Qassem Soleimani aveva dato l'occasione per denunciare «l'aggressione americana» e guadagnare appoggi anche all'estero. Adesso riemerge il volto del regime intento a schiacciare la sua stessa popolazione. Anche perché Internet resta accessibile, almeno nella capitale, ed emergono immagini inquietanti. Video che mostrano i Basij intervenire, con in sottofondo rumore di colpi di arma da fuoco. In un altro filmato una donna, accasciata a terra, dice di essere ferita a una gamba, e lascia una striscia di sangue mentre viene trasportata via dai compagni. «Hanno ammazzato le nostre élite e le hanno rimpiazzate con religiosi», hanno cantato ieri gli studenti all'ingresso delle università, oltre agli slogan contro i «bugiardi» che si devono «dimettere», compresa la guida suprema Ali Khamenei. L'ondata di commozione di fronte alle giovani vite spezzate in maniera assurda incrina il consenso per il regime anche ai livelli più alti, fra le personalità privilegiate. Una conduttrice delle tv di Stato ha annunciato le sue dimissioni: «Non potevo credere all'uccisione dei miei compatrioti. Chiedo scusa per aver mentito per tredici anni». Dopo la fuga della campionessa olimpica di taekwondo, Kimia Alizadeh, ieri è stato il capitano della nazionale di pallavolo maschile, Said Marouf, a protestare su Instagram: «Spero che l'Iran abbia visto il suo ultimo spettacolo di inganno e stupidità». Anche l'assedio internazionale mette in difficoltà il regime, nonostante la visita alla guida suprema dell'emiro del Qatar Al-Thani, sottolineata dai media statali. La Gran Bretagna ha convocato ieri l'ambasciatore iraniano a Londra, dopo che sabato sera il suo rappresentante era stato arrestato e trattenuto per qualche ora a Teheran. Il ministro degli Esteri Dominic Raab ha denunciato la «flagrante violazione del diritto internazionale» e ha precisato che la sicurezza alla legazione «è stata rivista», cioè aumentata. Anche il Canada, con le sue 57 vittime nel disastro, si è allineato a Londra e Washington in questa fase. Il premier Justin Trudeau chiede un'assunzione di responsabilità più precisa a Teheran e ha giurato che non riposerà «fino a quando non avremo la giustizia che le famiglie meritano».
IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Il regime iraniano non si è ricompattato, anzi è sempre più compromesso"
Daniele Raineri
Missili iraniani
Roma. Il regime iraniano è nel mezzo di una crisi di credibilità senza precedenti a meno di una settimana dai funerali solenni del generale Suleimani, che secondo molti commentatori avrebbero dovuto ricompattare l'opinione pubblica dalla parte degli ayatollah. Dall'annunciatrice tv Gelare Jabbari che si dimette e chiede scusa "perché vi ho mentito per tredici anni" fino agli studenti universitari che cantano contro i Guardiani della rivoluzione islamica perché "sono stupidi e sono la nostra vergogna", dalla campionessa olimpica di taekwondo Kimiya Alizade che sabato ha chiesto asilo politico nei Paesi bassi per "l'ipocrisia, le menzogne e l'ingiustizia" del regime fino alle decine di manifestazioni spontanee in tutto il paese, i segni dello sfacelo progressivo sono dappertutto. Lo scontro con l'Amministrazione Trump non si lascia dietro nessun sentimento di unità nazionale, anzi. Quello sceso in piazza qualche giorno fa per Suleimani era l'Iran che pub celebrare alla luce del sole la linea ufficiale del governo con la benedizione dell'apparato di repressione. Dopo l'abbattimento per errore di un aereo passeggeri all'alba di mercoledì è di nuovo venuto fuori l'altro Iran, quello che si deve tenere nascosto per paura delle fucilate e degli arresti, ma appena pub strappa e distrugge i ritratti del generale Suleimani e lo chiama "assassino" - una cosa che in occidente è considerata di cattivo gusto. Il problema per il regime è che l'altro Iran viene fuori a protestare a intervalli sempre più brevi e che l'intensità delle proteste cresce. Se nel 2009 i ragazzi della Teheran bene chiedevano "dov'è il mio voto", le ondate di protesta successive hanno coinvolto sempre di più il resto della popolazione e gli slogan sono diventati sempre più duri. "Non vogliamo il regime dei Guardiani". "Dicono che il nostro nemico è l'America, ma il nostro nemico è qui". "Non vogliamo la repubblica islamica". Le ultime proteste erano state a novembre e per bloccarle il regime aveva bloccato l'accesso a internet per quasi una settimana e aveva ucciso millecinquecento persone (fonte Reuters). Adesso ci sono di nuovo proteste. L'Iran che sta con il regime è immenso e ben radicato, ma l'instabilità accelera. E' possibile che sia anche per questo e non per un'improvvisa conversione alla trasparenza - che il regime ha ammesso dopo tre giorni di avere abbattuto un aereo che trasportava 83 passeggeri iraniani. Nel calcolo dei danni possibili, la rabbia popolare sarebbe stata ancora maggiore se la verità sull'abbattimento fosse arrivata grazie a qualche indagine dall'esterno. "E se per sbaglio schiacciate il bottone dell'atomica?", dice ora uno slogan irridente che prende di mira il programma nucleare, vanto del regime. In questo contesto il presidente americano Donald Trump scrive che gli iraniani sono meravigliosi perché si rifiutano di calpestare la bandiera americana - è una scena che si vede in un video filmato in un'università, gira molto - e rivendica l'uccisione del generale Suleimani come un fatto positivo che avrebbe dovuto essere fatta "venti anni fa". Sulla questione iraniana Trump dilaga e si prende la scena, una cosa che i suoi sfidanti democratici sono incapaci di fare. Il New York Times domenica ha pubblicato una ricostruzione della crisi interessante, dalla quale si capisce che l'uccisione di Suleimani non è stata una decisione improvvisa del presidente ma un piano che andava avanti da almeno diciotto mesi. L'Amministrazione aveva chiesto all'intelligente di reclutare informatori negli ambienti frequentati dal generale iraniano, quindi per esempio l'esercito siriano e gli aeroporti di Beirut e Damasco, per seguire i suoi spostamenti. Il direttore della Cia, Gina Haspel, che su altre questioni si è opposta con forza a Trump - per esempio ha demolito ogni tentativo di difendere il principe Bin Salman sul caso Khashoggi - aveva approvato l'eliminazione di Suleimani perché il generale era troppo pericoloso (l'Amministrazione americana ha molte difficoltà a spiegare questa cosa in pubblico). Il New York Times scrive anche che c'è la possibilità che il generale iraniano fosse arrivato in Iraq per dirigere un'operazione brutale che avrebbe spazzato via il sit-in della protesta nel centro di Baghdad e installato un governo amico in Iraq. Non c'è modo di verificarlo, ma se così fosse il bombardamento americano avrebbe evitato - per il momento - una Tiananmen irachena. Messa in questo modo - la sorveglianza di diciotto mesi, il piano di Suleimani contro i manifestanti - la storia assume una luce diversa dal blitz impulsivo raccontato negli ultimi dieci giorni. E infine la ricostruzione del New York Times rivela che i bersagli scelti per l'eventuale escalation americana contro l'Iran, che poi non c'è stata, includevano molti siti militari e del settore petrolifero e nessuno "culturale", come Trump aveva minacciato su Twitter. Nella lista degli obiettivi c'è anche una nave militare iraniana che naviga sotto copertura nel Golfo per tenere d'occhio il traffico delle petroliere e per fare da base di partenza per gli attacchi dell'Iran contro il traffico marittimo come è successo per quattro volte tra maggio e giugno. Sono tutti dettagli interessanti che però sono andati un po' perduti nel quadro generale di questa storia.
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