IC7 - Il commento di Enrico Fubini
Dal 6 all'11 gennaio 2020
In Israele si avvicinano le terze elezioni in un anno
I leader dei principali partiti: Benny Gantz, Benjamin Netanyahu
Saranno il 2 marzo le terze elezioni nel giro di un anno. E’ l’unica cosa su cui i partiti si sono trovati d’accordo in Israele. In un regime democratico possono succedere tante cose e non tutte auspicabili, anche tre elezioni in meno di un anno! Ma se si leggono i giornali in questi giorni di crisi in cui sino all’ultimo minuto si sperava ancora in un miracolo e in un’intesa tra i due maggiori partiti che avrebbero dovuto essere i maggiori responsabili per trovare un accordo per il nuovo governo, non si può non rimanere stupiti per ciò che vi è di anomalo in questo terzo giro elettorale, che probabilmente rivelerà nei suoi risultati le stesse difficoltà delle precedenti tornate. Quando inizia la campagna elettorale in un paese democratico i partiti fanno la gara a chi è in grado di proporre le migliori soluzioni per risolvere i tanti problemi che presenta il loro paese. Israele non è da meno, o non dovrebbe essere da meno in questa gara: i problemi non mancano e la sua situazione richiede soluzioni non solo per l’ordinaria amministrazione ma anche, come sempre, per problemi drammatici per la sua sopravvivenza. In Israele vi sono problemi che riguardano la politica economica del governo, le forti diseguaglianze sociali per un paese tutto sommato ricco, i grossi divari tra stipendi forse troppo alti e stipendi troppo bassi, la scuola, gli ospedali, la mancanza di medici, la circolazione automobilistica assolutamente caotica nelle grandi città, come Gerusalemme, Tel Aviv o Haifa, i prezzi troppo alti delle case, e tanti altri problemi ancora che tutti conoscono; insomma i problemi che affliggono oggi tutti i paesi occidentali.
Ma Israele ha ancora molti altri problemi di natura ben più drammatica quali la difesa dei suoi confini, i missili che piovono sia a Sud che a Nord, le minacce alla sua esistenza, i pochi amici e i tanti nemici da cui difendersi e i quasi nemici tra cui deve abilmente barcamenarsi per poter sopravvivere. In altre parole Israele ha urgentemente bisogno di un governo forte ed efficiente per far fronte a questi problemi vitali che non tutti i paesi occidentali, per fortuna loro, devono fronteggiare. Scorrendo le pagine dei giornali in questi giorni in cui si è ormai aperta la campagna elettorale ci si aspetterebbe di trovare ampi servizi su come i vari candidati e i vari partiti intendono affrontare tutti queste numerose e pressanti sfide interne ed esterne. Ma ben raramente si trovano accenni che lascino anche solo intravvedere quale potrebbe essere la politica di chi vincerà le elezioni.
Avigdor Lieberman, Benjamin Netanyahu
La maggior parte degli articoli che appaiono sui giornali di questi tempi sono esclusivamente centrati sulla persona di Netanyahu. C’è chi lo vuole ancora come primo ministro e c’è chi si batte per un cambiamento sia all’interno del Likud dove molti oggi sono i suoi nemici, sia nel partito rivale. Ma circa i grossi e pressanti problemi che oggi assillano Israele ci si pronuncia poco o nulla. Nelle precedenti due elezioni i candidati cercavano di delineare le loro prospettive politiche nei confronti di Gaza, di Hamas, dei palestinesi, dell’ipotetica annessione della Valle del Giordano, del Libano e della Siria, degli insediamenti e di tanti altri urgenti problemi. Oggi non si sente più parlare di queste pressanti questioni perché le elezioni si presentano sempre più come un referendum su Netanyahu. I due più grossi partiti, quelli tra cui si gioca il destino politico di Israele, non mostrano nessun interesse, oggi, a proporre o perlomeno a delineare una soluzione alle sfide che Israele dovrà affrontare in un prossimo futuro per la sua sopravvivenza. I due più grossi partiti – Kahol e Lavan da una parte e Likud dall’altra – mirano solo a far scegliere agli elettori la figura del futuro primo ministro: Netanyahu sì o Netanyahu no! Si può obbiettare che le differenze politiche tra i due avversari, Gantz e Netanyahu non sono così grandi, né drammatiche, né vitali per l’avvenire del paese e che si tratta soprattutto di differenze caratteriali. Magra consolazione dal momento che il buon senso direbbe che non si dovrebbe andare a votare per la terza volta quando è chiaro che non si va a scegliere tra due orizzonti politici diversi, ma piuttosto tra due personaggi la cui differenza è soprattutto caratteriale. Non sarà una bella sfida elettorale: si andrà a votare per decidere chi sarà il primo ministro senza sapere di preciso ciò che la scelta implichi sul piano politico. In democrazia le elezioni dovrebbero rappresentare non tanto la scelta di un personaggio piuttosto che un altro ma la politica che essi propongono per il proprio paese. Tutto ciò viene lasciato in ombra in questa ultima tornata elettorale. Forse nei poco più di due mesi che ci separano dalle elezioni il panorama politico si chiarirà e si spera che si andrà a votare su un programma politico e non solo sulla simpatia maggiore o minore che presentano due personaggi fin troppo famosi.
Enrico Fubini, già docente di Storia della musica presso l'Università di Torino